
Storia e attualità della Giornata della donna: purtroppo molto rimane ancora da fare.
Pubblichiamo l’articolo della presidente della Federazione donne evangeliche in Italia (FDEI) apparso sul sito del settimanale Riforma.
Mirella Manocchio – Ma davvero vogliamo vedere ancora una volta fiorai colmi di mazzi di mimose pronti per essere comprati o regalati? Ma davvero vogliamo assistere a comitive di sole ragazze o donne che affollano ristoranti e locali da ballo? Ma davvero noi donne vogliamo i nostri cellulari e le chat di gruppo zeppe di messaggi e meme augurali? Personalmente dico: “no grazie!”.
Non credo che abbia ancora senso festeggiare o celebrare la Giornata internazionale della donna se si crede che regalare un mazzo di mimose o inviare un messaggio augurale possa racchiudere il senso del rispetto e dell’amore che tutte le donne meritano. E nemmeno se si pensa che questa sorta di libera uscita una tantum possa sostituire la dovuta libertà che la donna deve avere nell’intessere relazioni, nel dipanare i propri interessi personali, nel crescere e trovare soddisfazione a livello lavorativo e familiare, insomma nel vivere la propria vita. Troppo velocemente si sono dimenticate le motivazioni e gli accadimenti che hanno dato origine all’istituzione di questa “Festa”, sebbene sia stata ufficialmente istituita abbastanza di recente dalle Nazioni Unite quale Giornata internazionale: nel 1975.
La vulgata collega l’origine a un incendio accaduto nel 1908 nell’industria tessile Cotton di New York in cui varie operaie rimasero uccise. In realtà tale incendio non è chiaramente documentato; in ogni caso i fatti che hanno portato all’istituzione della Festa della donna sono legati alla rivendicazione dei diritti, tra i quali il diritto di voto. A esempio, durante il VII Congresso della II Internazionale socialista, svoltosi a Stoccarda nel 1907, furono in discussione la questione femminile e il diritto di voto alle donne. In seguito, i partiti socialisti si impegnarono a lottare con le donne per riuscire ad introdurre il suffragio universale. In questa partita avevano giocato un ruolo importante già dal 1800, e continuarono ad averlo anche a inizio ‘900, tante donne evangeliche (a esempio Elisabeth Candy Stanton, Lucrezia Mott, Frances E. Willard) che si impegnarono anche per i pieni diritti delle donne in ambito ecclesiastico. La prima Giornata internazionale dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne ebbe vita nel 1910, ma solo successivamente durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, nel 1921, fu stabilito che l’8 marzo fosse la Giornata internazionale dell’operaia.
In Italia la celebrazione fu istituita dopo il settembre 1944 dalla neonata Unione Donne italiane (UDI) e si svolse il successivo 8 marzo nelle zone liberate dell’Italia. Anche nel nostro Paese la celebrazione si legò alla questione del diritto di voto e ai diritti delle donne in generale: in particolare questo avvenne negli anni ’60-70 quando le manifestazioni avevano al centro l’abolizione del cosiddetto “delitto d’onore”, la parità nel diritto di famiglia, il divorzio e l’aborto. Le donne evangeliche erano impegnate in queste battaglie e le conducevano non solo in piazza l’8 marzo, ma pure nelle proprie case e nelle chiese, come ricorda Doriana Giudici – sindacalista e presidente della FDEI dal 1989 al 1998 – nel volume Le ragazze che volevano cambiare il mondo.
Far memoria di questo vissuto non è archeologia sociologica o teologica, ma è la necessità di ricentrarci nelle nostre radici per guardare con consapevolezza quanto ancora vi è da fare – tanto – in merito a una reale parità di diritti, quanto di tali diritti viene quotidianamente messo in discussione, anche in Europa e negli Stati Uniti, e quale radicale cambio di struttura mentale e sociale è da operare. La riflessione di studiose e teologhe che puntano ad avere una prospettiva e una modalità intersezionale alle questioni sul piatto ci può aiutare e interrogare, ma sarebbe tragico se ci lasciasse indifferenti. Come non ci possono lasciare indifferenti gli accadimenti di abusi e discriminazioni emersi di recente in ambiti accademici protestanti e ai vertici di alcune chiese evangeliche perché ci sbattono in faccia – se ce ne fosse stato bisogno – che nessuna realtà ecclesiastica è immune da una tragica e tossica commistione tra “ruolo di potere e violenza”, seppur variamente declinata.
Lasciamo sugli alberi le mimose, ma in questo 8 marzo di un mondo squassato da molteplici conflitti e da chi, come Trump e la sua amministrazione, mette a serio rischio il diritto internazionale e le strutture istituzionali che faticosamente se ne fanno garanti, facciamoci ancora interpellare dalla Parola che ci dice che per grazia di Dio portiamo nel nostro corpo i segni anticipatori della resurrezione di Gesù Cristo, impegniamoci ancora – donne e uomini insieme – a costruire relazioni umane giuste e rispettose, improntate all’amore nella libertà, senza sopraffazioni e ruoli di genere precostituiti e condizionanti.
(La pastora Mirella Manocchio è presidente della Federazione donne evangeliche in Italia)
[Fonte: riforma.it]
La voce Che cosa celebriamo l’8 marzo è stata pubblicata per la prima volta su HopeMedia Italia.