Fine di un’epoca

Pubblicato l’ultimo numero di Adventist World

Merle Poirier – Se ricevete il nostro mensile, quello di giugno è l’ultimo numero di Adventist World. Pur sapendo che questo momento sarebbe arrivato, mi riesce ancora difficile scrivere. Di tutto lo staff attuale della rivista Adventist Review, sono l’unico ad aver collaborato con Adventist World fin dalla sua nascita e continuo fino al suo ultimo giorno. Quest’anno, la pubblicazione avrebbe compiuto 20 anni, quindi potete comprendere la mia tristezza.

Di recente ho partecipato ai funerali di un’amica. Il marito ha pronunciato un elogio funebre, un commovente racconto della loro vita insieme, in cui sottolineava la perdita della sua amata. Ci si aspetta di soffrire per la scomparsa di una persona cara. Eppure, quando la mia chiesa è andata a fuoco meno di un anno fa, sono rimasto sbalordito dal dolore che si prova per la perdita di un edificio. E ora, i miei colleghi e io affrontiamo la perdita di una pubblicazione. Ancora una volta provo questo strano senso di dolore.

Gli inizi
A presentare l’idea di Adventist World (AW) fu il past. Jan Paulsen, allora presidente della Chiesa mondiale, dopo aver constatato una mancanza di risorse avventiste in alcune parti del mondo. Dove c’era un vuoto, qualcosa o qualcuno interveniva per colmarlo. Ma si temeva che venisse compromessa la comprensione della teologia avventista. La soluzione fu una pubblicazione mensile che arrivasse nelle comunità avventiste del mondo, unendo i membri tramite lo studio della Bibbia, le notizie, gli articoli e le esperienze. Non era una cosa nuova per Adventist Review (AR), ma la sua portata sì. Il past. Paulsen l’affidò a William (Bill) G. Johnsson, direttore di AR in quegli anni.
Bill Johnsson era entusiasta, ma ben presto si sentì sopraffatto dal troppo lavoro. Un giorno, mi offrii di dargli una mano. Così, al mio esordio in AW, collaborai alla bozza del primo numero con il collega Kim Maran, per “vendere” l’idea ai presidenti delle varie Regioni della denominazione nel mondo. Guardando indietro a quasi 20 anni fa, credo che quattro persone abbiano il merito di aver contribuito a far crescere e diffondere AW.

Bill Knott, all’epoca direttore associato, intervenne per assistere Johnsson nelle riunioni, nel lavoro con le case editrici, nell’ottenere offerte e nello sviluppo di un piano di distribuzione, forse la sfida maggiore. Sapevamo creare una rivista, curarne la redazione, il design e la stampa, ma come distribuirla in tutto il mondo quando non esiste un sistema per riceverla? Senza la pazienza, le trattative e la comprensione di Bill, l’inizio del mensile non sarebbe stato positivo.

Roy Adams divenne il primo promotore e curatore di AW. Editore meticoloso, attento e scrupoloso, Roy si assicurò che il mensile fosse equilibrato e avesse un respiro internazionale. Era un’impresa tutt’altro che facile per una redazione in gran parte nordamericana all’epoca. Roy tenne insieme la giovane pubblicazione. Fece portare una mappa del mondo e segnava con una puntina le zone in cui venivano condivise storie o notizie all’interno della rivista. Così avevamo una visione immediata del nostro servizio nel mondo. Laddove vi era uno squilibrio o una lacuna, Roy si assicurava che le notizie e le esperienze provenissero da quell’area. A lui va il merito di aver portato equilibrio, imparzialità e intuito nello scoprire come raggiungere tutti gli avventisti.

Claude Richli arrivò nel 2007, sotto la direzione di Bill Knott. Uno degli obiettivi di Bill era quello di rendere lo staff più internazionale. Claude diede sicuramente il suo contributo, avendo lavorato in diverse altre Regioni della denominazione e parlando almeno cinque lingue. Ma ancora più importante fu l’energia che Claude portò nel gruppo di lavoro. Era pieno di idee e vedeva in AW un potenziale che non era stato ancora messo in luce. Le capacità di Claude, unite all’attenzione di Roy, portarono la pubblicazione in luoghi ancora sconosciuti.


Durante la sua permanenza nel nostro ufficio, Claude aumentò il numero di lingue da quattro a ventuno! Furono coinvolti circa venti traduttori, per rendere questa pubblicazione accessibile ai membri nel mondo. Inoltre, Claude sviluppò l’idea di una pubblicazione trimestrale, Adventist World Digest, per coloro che non potevano permettersi di stampare la rivista mensile. Scoprì anche che in Africa la rivista andava ben oltre le sue aspettative. Le Regioni africane della Chiesa furono tra le destinatarie più entusiaste di AW. Sebbene il mensile fosse destinato ai membri, lo condividevano ovunque. Si poteva entrare in uno studio medico, in un’officina, in un albergo o in un altro luogo non avventista e trovare una pila di copie di AW da poter prendere. Le distribuivano negli incontri di evangelizzazione e durante gli studi biblici. Ben presto apprendemmo, tramite lettere, che le riviste di AW erano entrate anche nelle carceri e diversi detenuti chiedevano di studiare la Bibbia.

Ultimo, ma non meno importante, è Gerald Klingbeil, arrivato nel 2009. Portò nuove prospettive grazie alla sua vasta esperienza globale. Educò la redazione a pensare in modo internazionale, non solo in inglese. Trasmise la passione di aiutare gli scrittori a trovare la propria voce nella chiesa, ampliando la nostra lista di autori nei diversi Paesi. Mise l’accento sui temi biblici specifici e sulla comprensione dei punti dottrinali avventisti. Durante il suo mandato, AW ottenne il riconoscimento del marchio. La rivista era diventata ciò che il past. Jan Paulsen desiderava, uno strumento unificante, riconosciuto dai membri di tutto il mondo.

Un caloroso addio
La corsa di Adventist World si è conclusa, ma ha realizzato ciò che nessun’altra nostra pubblicazione ha mai compiuto: ha tracciato un percorso mondiale. Ora il testimone passa ad Adventist Review. Limitata in gran parte ai lettori nordamericani, adesso AR servirà nel mondo, seguendo la stessa strada di AW. Le persone che hanno dato vita ad AW non hanno lavorato invano. Hanno contribuito a rendere la luce del Signore più profonda e chiara.

Addio, amica pubblicazione. È stato un privilegio avere un posto in prima fila, per vederti unire più di 23 milioni di avventisti in tutto il mondo.

(Merle Poirier è responsabile operativo di Adventist Review) 

[Immagini e fonte: Adventist Review. Traduzione e adattamento: L. Ferrara] 

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