
Nel corso della vita succede a tutti di attraversare dei momenti bui che sembrano senza via d’uscita. L’esperienza di Elia può offrirci una chiave di volta
Jarrod Stackelroth – L’espressione “notte oscura dell’anima”, coniata da Giovanni della Croce (poeta e mistico spagnolo del XVI secolo), è entrata nel linguaggio comune per indicare un periodo particolarmente difficile e intenso di sfide, prove o stress. Spesso accompagnato da una sorta di depressione interiore o di dubbi, questo stato può anche riferirsi a una crisi spirituale.
Lo psicologo John Schumaker descrive così una condizione mentale chiamata demoralizzazione: “Una crisi psico-spirituale d’insieme in cui chi ne è colpito si sente generalmente disorientato e incapace di individuare significato, scopo o fonti di soddisfazione dei bisogni”.
Sembra che il profeta Elia abbia sofferto di una condizione simile dopo la sua fuga da Iezebel. Egli raggiunge la vetta sul Monte Carmelo, le sue preghiere sono esaudite quando Dio interviene, prima di crollare in un esaurimento sotto un cespuglio di ginestra e nascondersi in una caverna. Dopo aver visto Dio manifestare il fuoco dal cielo e aspettandosi che il male fosse sconfitto, quando le sue attese non sono state soddisfatte, Elia chiede a Dio di prendere la sua vita.
Forse, non tutti noi soffriamo come Elia, ma so di aver attraversato diverse stagioni difficili nella mia vita. Probabilmente anche voi avete avuto esperienze simili.
Molti autori e pensatori hanno identificato questa “notte oscura” come una parte del ciclo di crescita e trasformazione dell’esistenza.
Peter Scazzero, nel suo libro Emotionally Healthy Spirituality, parla del “muro”. Il muro è una sfida che incontriamo in un periodo o stagione della vita e che ci pone di fronte a una scelta. Se scegliamo di rimanere dalla parte del muro in cui ci troviamo, senza oltrepassarlo o superarlo, rischiamo di rimanere emotivamente e spiritualmente stagnanti. Allo stesso modo, se evitiamo l’oscurità o facciamo finta che non esista, coprendola con parole vuote o scappando dai problemi che si presentano, rischiamo di restare intrappolati al livello di esperienza di vita e maturità che avevamo prima di incontrare quel momento buio.
Come cristiani, non siamo chiamati a evitare tutte le difficoltà, né ci viene promesso un cammino facile e senza ostacoli. Gesù prevede che quanti sceglieranno di seguirlo incontreranno delle prove. “Nel mondo avrete tribolazione. Ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo” (Giovanni 16:33). Chi lo segue, proclama il Maestro, deve rinunciare a se stesso, prendere la propria croce e seguirlo (cfr. Matteo 16:24-26). Gesù ha attraversato l’oscurità del venerdì santo e del sabato di Pasqua, prima della risurrezione nel giorno di domenica. Gesù ha sofferto e subito umiliazioni ma non ha esitato ad affrontare il suo compito. Oggi, ci invita a portare la nostra sofferenza con la stessa umiltà e speranza.
Ritornando alla “notte oscura” di Elia, mi interessa la reazione divina. Il Signore invia un angelo ad assistere Elia. L’angelo gli consiglia di riposare un po’ e di mangiare qualcosa. Quando Elia raggiunge il monte, Dio gli rivolge una domanda che gli offre l’opportunità di lamentarsi. Dopo un terremoto, un vento e un fuoco, Dio parla a Elia con mormorio leggero e poi ripete la sua domanda. Elia esprime lo stesso lamento e Dio non risponde direttamente al quesito. Gli dà nuove istruzioni, un altro compito da svolgere (cfr. 1 Re 19).
È un atteggiamento insensibile da parte di Dio? Ci saremmo aspettati una conferma per il lavoro già svolto, forse un trattamento più delicato, una vacanza, un premio o persino la pensione. In questo caso, Dio consegna al profeta il suo prossimo incarico.
L’attenzione di Elia è diretta al futuro, ai passi successivi, al piano di Dio e al controllo divino. Elia era concentrato sulla minaccia presente per la sua vita e sul trionfo passato, che non sembrava aver fatto alcuna differenza. Era scoraggiante vedere che nulla era cambiato. Dio orienta di nuovo Elia sui suoi prossimi passi. E poi gli offre qualcosa di incoraggiante: “Ma io lascerò in Israele un residuo di settemila uomini, tutti quelli il cui ginocchio non s’è piegato davanti a Baal, e la cui bocca non l’ha baciato” (1 Re 19:18).
Proprio come è accaduto a Elia, a volte la risposta alle domande esistenziali che sorgono nelle nostre “notti oscure” arriva spostando l’attenzione su Dio. Se non ci riusciamo, l’Eterno ci aiuta a rimuovere il nostro punto fisso dai problemi e dalle minacce, e a concentrarci sulla sua provvidenza e sovranità. La “notte oscura” non è mai facile, ma nella mia esperienza, la speranza arriva al mattino.
[Fonte: record.adventistchurch.com / Tradotto da Veronica Addazio]
[Immagine di Stewardesign su Pixabay.com]
La voce La “notte oscura dell’anima” è stata pubblicata per la prima volta su HopeMedia Italia.