Capitolo 12 - La riforma in Francia - Parte 03
Le lacrime soffocarono le sue parole e tutta l’assemblea, piangendo, esclamò concorde: “Noi vivremo e morremo per la religione cattolica!”24 Le tenebre della notte erano scese sulla nazione che aveva respinto la luce della verità.
“La grazia salutare di Dio” era apparsa ma la Francia, dopo averne contemplato la potenza e la santità, dopo che migliaia dei suoi figli erano stati attratti dalla sua divina bellezza, dopo che città e villaggi erano stati illuminati dal suo fulgore, se ne era allontanata e aveva preferito le tenebre alla luce. Respingendo il dono celeste che le veniva offerto, aveva confuso il bene con il male, diventando vittima della propria corruzione. Forse credeva di compiere la volontà di Dio perseguitandone il popolo, ma questa sua sincerità non diminuiva affatto la sua colpa in quanto aveva deliberatamente rigettato quel messaggio che avrebbe potuto salvarla dall’inganno e sottrarla alla responsabilità del sangue versato.
Nella grande cattedrale, dove, tre secoli più tardi, sarebbe stata venerata la “Dea Ragione” da un popolo che aveva abbandonato il Dio vivente, fu pronunciato il solenne giuramento di estirpare l’eresia. La processione si ricompose e i rappresentanti della Francia iniziarono l’opera che si erano impegnati a compiere. “A breve distanza l’uno dall’altro furono eretti dei6 patiboli sui quali i cristiani protestanti sarebbero stati arsi vivi e si fece in modo che il rogo venisse acceso proprio nel momento in cui il re si avvicinava perché, in tal modo la processione potesse sostare e assistere al supplizio”. I particolari delle torture inflitte a questi testimoni della verità sono troppo crudi per essere descritti, comunque nessuna delle vittime tentennò. Invitata ad abiurare, una di esse rispose: “Io credo solo a quello che hanno predicato i profeti e gli apostoli e a quello che hanno creduto i santi. La mia fede si fonda su Dio, il quale vincerà tutte le potenze dell’inferno”. La processione si fermò successivamente nei vari luoghi di tortura e quindi, giunta al punto dove si era formata, al palazzo reale, si sciolse. Mentre la folla si disperdeva, il re e i prelati si ritirarono, congratulandosi per l’opera iniziata e che sarebbe proseguita fino alla totale eliminazione dell’eresia.
Il Vangelo della pace, che la Francia aveva respinto, doveva essere completamente sradicato, con le terribili conseguenze che ne sarebbero derivate. Il 21 gennaio 1793, un’altra processione, con motivazioni ben diverse, avrebbe attraversato le vie di Parigi, 258 anni dopo che la nazione si era pronunciata in favore della persecuzione dei riformati. “Ancora una volta il re era il protagonista principale e ancora una volta urla e tumulti erano all’ordine del giorno; ancora una volta la giornata si sarebbe conclusa con sanguinose esecuzioni. Luigi XVI, dibattendosi in mezzo ai carcerieri e ai carnefici, veniva trascinato con la forza verso il ceppo dal quale, di lì a poco, la sua testa recisa dalla mannaia sarebbe rotolata sulla piattaforma del patibolo”. Il re non fu l’unica vittima: in quello stesso luogo, durante il regno del terrore, oltre 2.800 vittime caddero, decapitate dalla ghigliottina.
La Riforma aveva aperto la Bibbia davanti al mondo, sottolineando i precetti della legge di Dio e additando alle coscienze le sue giuste esigenze.
L’Amore infinito aveva rivelato agli uomini i princìpi e gli statuti del cielo dicendo: “Le osserverete dunque e le metterete in pratica; poiché quella sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!”” Deuteronomio 4:6. La Francia, respingendo il dono divino, gettò il seme dell’anarchia e della rovina, con le inevitabili conseguenze che caratterizzarono la Rivoluzione e il regno del terrore.
Molto tempo prima della persecuzione provocata dai manifesti contro la messa, il prode e zelante Farel era stato costretto ad abbandonare la sua terra natia e a rifugiarsi in Svizzera, dove unì le sue forze a quelle di Zwingli contribuendo, in questo modo, a far pendere il piatto della bilancia dalla parte della Riforma. Egli trascorse molti anni in terra elvetica, pur continuando a esercitare un notevole influsso sulla Riforma in Francia. Durante i primi anni dell’esilio, i suoi sforzi si concentrarono sulla diffusione del Vangelo in patria.
LA Per questo motivo trascorse molto tempo predicando fra i suoi connazionali che abitavano vicino alla frontiera, aiutandoli nella lotta in favore della verità con parole di incoraggiamento e consigli opportuni. Sostenuto da altri esuli, tradusse in lingua francese gli scritti dei riformatori tedeschi. Questi scritti, una volta stampati, furono diffusi insieme alla Bibbia in francese, dai colportori, che li acquistavano a un prezzo ridotto e potevano, con il guadagno ottenuto dalla vendita, continuare la loro l’opera.
Farel aveva intrapreso la sua attività in Svizzera in qualità di semplice insegnante. Stabilitosi in una parrocchia isolata, si era dedicato all’istruzione dei fanciulli. Oltre alle comuni materie di insegnamento, egli introdusse con prudenza le verità bibliche nella speranza di poter raggiungere i genitori tramite i bambini. Alcuni, infatti, accettarono la dottrina, ma i preti si intromisero per bloccare la sua opera sobillando gli abitanti di quella zona superstiziosa e istigandoli contro di lui. “Quello non può essere il Vangelo del Cristo” dicevano i sacerdoti “in quanto la sua predicazione non reca la pace, ma la guerra”. Come i primi discepoli, quando era perseguitato in una località si recava in un’altra. Di villaggio in villaggio e di città in città Farel proseguiva viaggiando a piedi, soffrendo la fame, il freddo, la stanchezza e tutto ciò a rischio della propria vita. Egli predicava sulle piazze dei mercati, nelle chiese, talvolta dal pulpito di una cattedrale. Certe volte la chiesa era quasi priva di uditori, altre volte la sua predicazione era interrotta da urla e da provocazioni. Spesso fu allontanato con violenza dal pulpito e più di una volta preso dalla folla e percosso quasi a morte. Continuò comunque la sua missione. Sebbene venisse spesso respinto, ritornava alla carica con instancabile perseveranza ed ebbe la gioia di vedere l’una dopo l’altra città e villaggi, che un tempo erano state delle fortezze del papato, aprire le porte al Vangelo.
La piccola parrocchia dove aveva iniziato la sua attività accettò la fede riformata. Le città di Morat e di Neuchâtel rinunciarono ai riti di Roma e tolsero dalle loro chiese le immagini idolatre.
Da tempo Farel desiderava diffondere il messaggio protestante a Ginevra.
Quella città, se conquistata, sarebbe stata un centro per la Riforma in Francia, in Svizzera e in Italia. Con questo obiettivo in mente, aveva proseguito la sua opera fino a quando numerosi villaggi e città vicine avevano accettato la verità. Accompagnato da un collaboratore si recò a Ginevra, ma riuscì a predicare solo due sermoni. I preti, non essendo riusciti a farlo condannare dalle autorità civili, lo invitarono a presentarsi davanti al concilio ecclesiastico al quale essi parteciparono con le armi nascoste sotto le tuniche, decisi a togliergli la vita. Fuori della sala si era raccolta una folla in tumulto, armata di bastoni e di spade pronti a ucciderlo qualora fosse riuscito a sottrarsi al concilio. Fu salvato grazie alla presenza dei magistrati e di una schiera di soldati. La mattina dopo, molto presto, Farel fu condotto, insieme al suo amico,8 sull’altra riva del lago, in un luogo sicuro. Così finì il suo primo tentativo di evangelizzare Ginevra.
Per il secondo tentativo fu scelto uno strumento più modesto: Froment, un giovane dall’apparenza tanto umile che fu accolto freddamente perfino dagli amici della Riforma. Che cosa avrebbe potuto fare, là dove Farel era stato respinto? Come avrebbe potuto, uno come lui con poca esperienza e relativo coraggio, affrontare la tempesta davanti alla quale il più forte e il più valoroso era stato costretto a fuggire? “…Non per potenza né per forza, ma per lo spirito mio, dice l’Eterno degli eserciti”. Zaccaria 4:6. “…Ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i savi; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti… poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini”. 1 Corinzi 1:27, 25.
Froment cominciò la sua opera come maestro di scuola. Le verità che egli insegnava ai fanciulli venivano poi raccontate a casa e ben presto i genitori vennero per udire la spiegazione della Bibbia. Non passò molto tempo che l’aula scolastica fu gremita di un pubblico attento e interessato. Molte copie del Nuovo Testamento e vari opuscoli vennero distribuiti gratuitamente e offerti a chi non aveva avuto il coraggio di recarsi ad ascoltare le nuove dottrine. Dopo un po’ anche questo predicatore fu costretto a fuggire, ma ormai la verità da lui insegnata aveva fatto breccia nella mente del popolo. Il seme della Riforma era stato gettato e andò sempre più rafforzandosi e sviluppandosi. I predicatori ritornarono e grazie alla loro attività il protestantesimo si insediò anche a Ginevra.
La città si era già dichiarata favorevole alla Riforma, quando Calvino dopo vari viaggi e peripezie ne varcò la porta. Di ritorno da una visita al suo paese natio, si diresse verso Basilea. Avendo saputo che la via più diretta era occupata dalle truppe di Carlo V, fu costretto a fare un lungo giro che lo riportò a Ginevra.
In occasione di questa visita Farel riconobbe la mano di Dio. Sebbene Ginevra avesse accettato la fede riformata, rimaneva da compiere ancora un grande lavoro. Gli uomini si convertono a Dio individualmente e non in massa, per cui l’opera della rigenerazione deve compiersi nei singoli cuori e nelle singole coscienze, mediante l’azione dello Spirito Santo e non già in base ai decreti dei concili. Gli abitanti di Ginevra, pur avendo rigettata l’autorità di Roma, non erano ancora pronti a rinunciare ai vizi che si erano diffusi durante il suo dominio. Riaffermare i puri princìpi del Vangelo e preparare la gente a occupare degnamente il posto a cui Dio li chiamava, non era un’impresa facile.
Farel sapeva di poter trovare in Calvino un uomo che lo avrebbe potuto affiancare in quest’opera e scongiurò il giovane evangelista, nel nome di LA Dio, a rimanere a Ginevra per svolgervi la sua attività. Calvino ne fu allarmato. Timido per natura, amante della quiete, rifuggiva il contatto con lo spirito ardito, indipendente e perfino violento dei ginevrini. D’altra parte, la sua salute precaria e le sue abitudini di studio lo inducevano a starsene appartato. Inoltre, pensava di poter servire meglio la Riforma con la sua penna e quindi desiderava avere un rifugio tranquillo dove poter studiare e tramite la stampa, istruire e incoraggiare le chiese. Il solenne appello di Farel però, gli giunse come se si trattasse di una chiamata divina che non poteva rifiutare.
Gli parve “che la mano di Dio si stendesse fino a lui per afferrarlo e stabilirlo irrevocabilmente proprio in quel luogo che, invece, era tanto impaziente di lasciare”. A quel tempo la Riforma era minacciata da molti pericoli: gli anatemi papali tuonavano contro Ginevra e molte nazioni potenti ne meditavano la distruzione. Quella piccola città come avrebbe potuto resistere a una potenza che spesso aveva preteso la sottomissione di re e imperatori? Come avrebbe potuto resistere agli eserciti dei più grandi conquistatori del mondo? In tutto il mondo cristiano, il protestantesimo era contrastato da acerrimi nemici. Dopo i primi trionfi della Riforma, Roma aveva riunito nuove forze con l’intenzione di annientarla. Fu in quell’epoca che nacque l’ordine dei gesuiti, che si dimostrò il più crudele, il più privo di scrupoli e il più potente fra i sostenitori del papato. Privi di ogni legame terreno, di ogni affetto o interesse personale, sordi ai richiami della coscienza e della ragione, essi ignoravano qualsiasi regola e vincolo che non fossero quelli del loro ordine, non conoscevano altro dovere se non quello di estenderne il potere. Il Vangelo di Gesù aveva messo i credenti in condizione di affrontare i pericoli, di sopportare le sofferenze, di sfidare il gelo, la fame, i disagi, la povertà pur di restare fedeli alla verità anche di fronte al patibolo, al carcere e al rogo.
L’ordine dei Gesuiti infondeva nei suoi adepti un fanatismo tale da indurli ad affrontare analoghi pericoli e a opporre alla potenza della verità tutte le armi dell’inganno. Per loro non esisteva delitto troppo grande, inganno troppo grave, atteggiamento troppo difficile da assumere. Votati alla povertà e all’umiltà perpetue, miravano ad assicurarsi la ricchezza e il potere per servirsene contro il protestantesimo, in favore della supremazia papale.
Quando si presentavano nella loro veste ufficiale di membri del loro ordine, essi assumevano un’aria di santità, visitavano le carceri, gli ospedali, si occupavano degli ammalati e dei poveri, dimostravano di avere rinunciato al mondo e portavano il sacro nome di Gesù, che “andava attorno facendo del bene”. Però, sotto l’ineccepibile alone di santità si celavano i propositi più criminosi e terribili. Principio fondamentale dell’ordine era: il fine giustifica i mezzi. Grazie a questo principio, la menzogna, il furto, lo spergiuro, l’assassinio non solo erano perdonabili, ma addirittura raccomandabili, quando0 contribuivano all’interesse della chiesa. In vari modi i gesuiti arrivavano a ottenere alte cariche dello stato, riuscendo a diventare consiglieri dei re e guidando la politica delle nazioni. Essi si facevano servi per poter spiare i padroni; fondavano collegi per i figli dei prìncipi e dei nobili; scuole per il popolo, perché i figli dei protestanti fossero indotti all’osservanza dei riti papali. Tutta la pompa esteriore e lo sfarzo del culto romano erano intesi a confondere le menti, a colpire e a conquistare l’immaginazione affinché la libertà, in favore della quale i padri si erano battuti e avevano sparso il loro sangue, fosse tradita dai figli. I gesuiti si diffusero rapidamente in tutta l’Europa e ovunque andarono si assisteva a un risveglio del papato.
Per accrescere la loro potenza, fu emessa una bolla che ristabiliva l’Inquisizione. Nonostante la generale avversione, perfino nei paesi cattolici, questo terribile tribunale fu nuovamente istituito dai governanti papali e nei sotterranei segreti furono consumate atrocità troppo orribili perché potessero accadere alla luce del sole. In molti paesi migliaia e migliaia di persone che costituivano il fior fiore della nazione, i più puri e nobili, i più colti e intelligenti, i pastori devoti e pii, i cittadini fedeli e attivi, gli intellettuali e gli scienziati più illustri, gli artisti di talento furono condannati a morte, oppure costretti a fuggire in altri paesi.
Questi furono i metodi escogitati da Roma per annientare la Riforma, per sottrarre agli uomini la Bibbia, per ripristinare l’ignoranza e la superstizione dei secoli più bui. Però, grazie alla benedizione di Dio e all’attività di quegli uomini nobili e generosi chiamati a succedere a Lutero, il protestantesimo non fu sopraffatto. Non per il favore dei prìncipi o delle armi, ma per la sua stessa forza. I paesi più piccoli, le nazioni più deboli e umili divennero dei baluardi: la piccola Ginevra, situata in mezzo a nemici potenti che ne complottavano la distruzione; l’Olanda, sui suoi banchi di sabbia del mare del Nord che lottava contro la tirannia spagnola, il più grande e ricco dei regni di quell’epoca; la modesta e povera Svezia. Tutte conseguirono la vittoria per la Riforma.
Per circa trent’anni Calvino lavorò a Ginevra, prima per fondarvi una chiesa che seguisse i princìpi biblici, in seguito, per sviluppare la diffusione del messaggio della Riforma in tutta l’Europa. Il suo comportamento, come autorità cittadina, non fu del tutto esente da imperfezioni e le sue dottrine non furono prive di errori. Ma egli fu un valido strumento per la proclamazione della verità che, per quell’epoca, erano di particolare importanza, per la difesa e l’affermazione dei princìpi del protestantesimo contro l’emergente autorità papale e per lo sviluppo nelle chiese riformate della semplicità e della purezza di vita, al posto dell’orgoglio e della corruzione che si erano sviluppati in seguito agli insegnamenti di Roma. Da Ginevra partirono pubblicazioni e predicatori per diffondere le dottrine riformate. I perseguitati di ogni paese chiedevano direttive, consigli e incoraggiamenti e la città LA di Calvino divenne un rifugio per tutti coloro che provenivano da tutta l’Europa occidentale. Sfuggendo alle terribili persecuzioni, che per secoli si susseguirono, gli esuli giungevano alle porte di Ginevra affamati, feriti, senza casa, senza famiglia e venivano accolti calorosamente e assistiti con amore fraterno. Essi misero a disposizione di questa nuova patria la loro abilità, il loro sapere e la loro profonda religiosità. Molti, in un secondo tempo, ritornarono ai loro paesi, decisi a resistere alla tirannia di Roma: John Knox, il coraggioso riformatore scozzese, alcuni puritani britannici, i protestanti di Olanda e di Spagna e gli ugonotti di Francia. Da Ginevra diffusero tutti il messaggio della verità, proclamandolo nelle loro terre natie.