Capitolo 19 - Luce nelle tenebre - Parte 01
Una grande analogia caratterizza le riforme o i movimenti religiosi che, di secolo in secolo, hanno segnato i progressi dell’opera di Dio. I princìpi che stanno alla base dell’azione divina nei confronti degli uomini sono sempre gli stessi e quindi i più importanti movimenti religiosi attuali trovano riscontro in quelli del passato, per cui le esperienze della chiesa contengono preziosi insegnamenti per la nostra epoca.
La Bibbia lascia chiaramente intendere che gli uomini scelti da Dio, per dirigere i grandi movimenti destinati a realizzare il suo piano di salvezza sulla terra, erano guidati in modo particolare dallo Spirito Santo. Gli uomini diventano strumenti nelle mani di Dio per l’attuazione dei suoi progetti, caratterizzati dalla grazia e dalla misericordia. Ognuno ha un incarico definito e a ciascuno viene accordata una conoscenza adeguata al suo particolare compito e sufficiente per permettergli l’attuazione del mandato che Dio gli ha assegnato. Nessuno, però, per quanto onorato dal cielo, è mai pervenuto a una totale comprensione del piano della redenzione o a una perfetta valutazione del proposito divino per l’opera che era stato chiamato a svolgere nella sua epoca. In altre parole, gli uomini non possono sempre capire completamente quello che Dio intende conseguire tramite l’incarico che ha affidato loro e quindi non riescono ad afferrare in tutta la sua portata il messaggio che stanno proclamando nel suo nome.
“Puoi tu scandagliare le profondità di Dio? arrivare a conoscere appieno l’Onnipotente?” Giobbe 11:7. “Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie son le mie vie, dice l’Eterno. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così son le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri”. Isaia 55:8, 9. “…Io son Dio, e non ve n’è alcun altro; son Dio, e niuno è simile a me; che annunzio la fine sin2 dal principio, e molto tempo prima predìco le cose non ancora avvenute…” Isaia 46:9, 10.
Neppure i profeti, favoriti com’erano da una conoscenza particolare concessa loro dallo Spirito, si resero conto della portata delle rivelazioni ricevute. Il loro significato fu svelato gradatamente, nel corso dei secoli e nella misura in cui il popolo di Dio aveva bisogno degli insegnamenti che tali rivelazioni contenevano.
L’apostolo Pietro, scrivendo della salvezza rivelata dal Vangelo, dice: “…
dei profeti… indagavano qual fosse il tempo e quali le circostanze a cui lo Spirito di Cristo che era in loro accennava, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo, e delle glorie che dovevano seguire. E fu loro rivelato che non per se stessi ma per voi ministravano quelle cose…” 1 Pietro 1:10-12.
I profeti, pur non avendo avuto il privilegio di capire completamente le rivelazioni ricevute, cercavano comunque di avvalersi di tutta la conoscenza che Dio gli aveva accordato. Essi, perciò, indagavano per conoscere “il tempo e le circostanze” indicati dallo “Spirito di Cristo che era in loro”. Che magnifico insegnamento per il popolo di Dio dell’era cristiana che beneficiò di queste profezie annunciate dai messaggeri dell’Altissimo! “E fu loro rivelato che non per se stessi ma per voi ministravano quelle cose”. Notate con quanta cura questi uomini di Dio prendevano nota delle rivelazioni destinate alle generazioni future. Osservate il contrasto fra il loro santo zelo e la noncuranza che dimostrano alcuni nei confronti dei messaggi divini. Come non biasimare l’amore per il cosiddetto quieto vivere, per l’indifferenza che è frutto dell’attaccamento alle realtà terrene e per lo scetticismo di chi afferma che le profezie non possono essere capite! Sebbene le menti limitate degli uomini non possano apprezzare i consigli dell’Essere infinito o capire completamente come si attuano i suoi piani, spesso la causa di questo stato di cose va ricercata nel fatto che gli uomini spesso non comprendono i messaggi divini per errore o negligenza. L’intelligenza umana, perfino quella dei figli di Dio, è talmente condizionata dalle opinioni comuni, dalle tradizioni popolari e dai falsi insegnamenti, che riescono solo parzialmente a rendersi conto delle verità sublimi che l’Eterno ha rivelato nella sua Parola. Tutto ciò si verificò anche con i discepoli del Cristo, quando il Salvatore era ancora con loro. Le loro menti erano così condizionate delle concezioni popolari riguardanti il Messia, considerato un principe che avrebbe innalzato Israele sul trono di un impero universale, che non riuscirono a comprendere il significato delle parole che annunciavano le sue sofferenze e la sua morte.
Gesù stesso li aveva incaricati di annunciare il messaggio: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete all’evangelo”.
Marco 1:15. Quel messaggio si basava sulla profezia di Daniele 9. Le 69 settimane dovevano estendersi, per dichiarazione dell’angelo, fino “al Messia principe”; e così, con speranza e gioia, i discepoli sognavano l’insediamento di un regno messianico in Gerusalemme, in vista di un dominio esteso su tutta la terra.
Essi predicavano il messaggio che era stato loro affidato dal Cristo, però ne fraintendevano il significato. Mentre il loro annuncio si basava su Daniele 9:25, non si rendevano conto che nel versetto seguente si parlava del Messia “soppresso”. Fin dall’infanzia erano stati orientati a credere e sperare nella gloria di un impero terreno e questo accecava la loro mente sia per quello che la profezia indicava sia per quello che le parole di Cristo significavano.
Essi fecero il loro dovere trasmettendo alla nazione ebraica l’invito della misericordia divina, ma proprio quando pensavano di vedere il Maestro salire sul trono di Davide, egli venne arrestato come un malfattore, percosso, deriso, condannato e appeso sulla croce al Calvario. Quanta angoscia e quanta disperazione scosse il cuore dei discepoli durante i giorni in cui il loro amato Signore riposava nella tomba! Eppure il Cristo era apparso esattamente al tempo e nel modo indicati dalla profezia. La testimonianza della Scrittura si era adempiuta in ogni particolare del suo ministero. Egli aveva annunciato il messaggio della salvezza e il suo messaggio era stato trasmesso con potenza, tanto che gli uditori si erano convinti che si trattasse di un annuncio di origine divina, mentre la Parola e lo Spirito di Dio attestavano la missione del Figlio. Sebbene i discepoli amassero profondamente il Maestro, la loro mente era torturata dall’incertezza e dal dubbio. Nella loro angoscia, non riuscivano a ricordare le parole del Cristo relative alle sue sofferenze e alla sua morte. Se Gesù di Nazareth fosse stato il vero Messia, sarebbero stati così angosciati per l’insuccesso? Era questa la domanda che li sconvolgeva, mentre il Salvatore giaceva nel sepolcro durante le ore di quel sabato che separava la morte del Cristo dalla sua risurrezione.
Accecati dal dolore, i discepoli di Gesù non furono però abbandonati.
Dice il profeta Michea: “…se seggo nelle tenebre, l’Eterno è la mia luce…
egli mi trarrà fuori alla luce, e io contemplerò la sua giustizia”. Michea 7:8, 9. E ancora: “…le tenebre stesse non possono nasconderti nulla, e la notte risplende come il giorno; le tenebre e la luce son tutt’uno per te”. Salmi 139:12. “La luce si leva nelle tenebre per quelli che son retti, per chi è misericordioso, pietoso e giusto”. Salmi 112:4. Isaia aggiunge: “Farò camminare i ciechi per una via che ignorano, li menerò per sentieri che non conoscono; muterò dinanzi a loro le tenebre in luce, renderò piani i luoghi scabri. Sono queste le cose ch’io farò, e non li abbandonerò”. Isaia 42:16.
L’annuncio fatto dai discepoli nel nome del Signore era esatto in tutti i suoi particolari e gli eventi predetti si stavano adempiendo l’uno dopo l’altro.
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino“: questo era stato il loro messaggio. Alla fine del “tempo” delle 69 settimane di Daniele 9 che dovevano estendersi fino al “Messia unto”, Gesù aveva ricevuto l’unzione dello Spirito subito dopo il battesimo impartitogli da Giovanni Battista al Giordano.
Il “regno di Dio” definito “vicino” era stato stabilito dalla morte di Gesù.
Naturalmente questo regno non era, come era stato loro insegnato, un impero terreno. Non era neppure quel regno futuro e immortale che sarà stabilito quando “…il regno e il dominio e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Daniele 7:27), regno eterno nel quale “tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno”. Nella Bibbia l’espressione “regno di Dio” indica sia il regno della grazia, sia il regno della gloria. Quello della grazia è messo in risalto dall’apostolo Paolo nella sua lettera agli Ebrei. Dopo avere indicato il Cristo come intercessore compassionevole, che ha condiviso la nostra umanità, l’apostolo aggiunge: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno”. Ebrei 4:16.
Il trono della grazia rappresenta il regno della grazia, poiché l’esistenza di un trono presuppone necessariamente quella di un regno. In molte delle sue parabole, Gesù usò l’espressione “regno dei cieli” per designare l’opera della grazia di Dio nei cuori degli uomini.
Allo stesso modo il trono della gloria rappresenta il regno della gloria, regno a cui alludeva il Signore dicendo: “Or quando il Figliuol dell’uomo sarà venuto nella sua gloria, avendo seco tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno radunate dinanzi a lui”. Matteo 25:31, 32. Si tratta di un regno futuro che sarà instaurato al ritorno di Cristo Gesù.
Il regno della grazia fu istituito subito dopo la caduta dell’uomo quando venne elaborato il piano della redenzione per l’umanità colpevole. Esso esisteva già come obiettivo e promessa di Dio. Questo regno, del quale si diventa sudditi per fede, fu però stabilito ufficialmente solo dopo la morte del Cristo.
Infatti, anche dopo essere venuto nel mondo per adempiere la sua missione terrena, il Salvatore, stanco dell’ostinazione e dell’ingratitudine degli uomini, avrebbe potuto benissimo rinunciare al sacrificio del Calvario. Nel Getsemani, il calice tremò nelle sue mani. Anche in quel momento egli avrebbe potuto asciugare il sudore di sangue che imperlava la sua fronte e lasciare che l’umanità colpevole pagasse per la sua malvagità. Se lo avesse fatto, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di redenzione per l’uomo. Quando, però, il Salvatore offrì la sua vita ed esalando l’ultimo respiro esclamò: “Tutto è compiuto!”, risultò chiaro che il piano della redenzione era assicurato e che era stata ratificata la promessa di salvezza fatta in Eden alla coppia colpevole. In quel momento si instaurava il regno della grazia che fino ad allora era esistito in virtù della promessa di Dio.
In questo modo la morte del Cristo, che i discepoli consideravano la fine di ogni loro speranza, al contrario le confermò per l’eternità. Se per loro la morte del Cristo rappresentò una cocente delusione, in realtà dimostrò l’esattezza delle loro convinzioni. L’evento che li aveva riempiti di amarezza e di disperazione, doveva contribuire ad aprire la porta della speranza a ogni discendente di Adamo e rappresentare il centro della vita futura e dell’eterna felicità dei fedeli figli di Dio di tutti i secoli.
Il piano, frutto della misericordia infinita, si stava adempiendo proprio attraverso la delusione dei discepoli. I loro cuori erano stati conquistati dalla grazia divina e dalla potenza dell’insegnamento di colui che parlava come mai nessuno aveva parlato, ma all’oro puro del loro amore per Gesù si mescolavano le scorie delle filosofie terrene e delle ambizioni egoistiche. Perfino nella stanza dove fu celebrata la Pasqua, nell’ora solenne in cui già cominciavano ad allungarsi sul Maestro le ombre del Getsemani ci fu “…una contesa fra loro per sapere chi di loro fosse reputato il maggiore”. Luca 22:24. Essi pensavano al trono, alla corona e alla gloria di questo mondo, mentre davanti a loro si profilavano l’infamia e l’agonia del Getsemani, del pretorio e della croce del Calvario. L’orgoglio e il desiderio di gloria non permettevano loro di rinunciare a questi errori e impedivano loro di considerare le parole del Salvatore che presentavano la vera natura del suo regno e preannunciavano già la sua agonia e la sua morte. Le loro concezioni errate li portarono ad affrontare una prova dura ma necessaria, che fu permessa perché essi potessero correggerle. I discepoli, pur sbagliandosi sul significato del messaggio che predicavano e pur non vedendo realizzarsi le loro aspirazioni, avevano fedelmente trasmesso l’avvertimento ricevuto da Dio. Il Signore, quindi, non avrebbe mancato di premiare la loro fede, il loro amore e la loro ubbidienza.
Avrebbero ricevuto l’incarico di comunicare al mondo il glorioso messaggio del Signore risorto. Era in vista della preparazione per questo compito che il Salvatore aveva permesso che facessero una così dura esperienza.