Capitolo 40 - La liberazione del popolo di Dio - Parte 02


Mentre queste parole, che esprimono una profonda fiducia salgono fino a Dio, le nubi gradatamente si allontanano e appare il cielo tempestato di stelle, luminoso, in contrasto con l’oscura e minacciosa zona dall’altra parte dell’orizzonte. Attraverso le porte aperte si scorge la gloria della città eterna. Poi, stagliata sullo sfondo del cielo, appare una mano che regge due tavole di pietra piegate insieme. Dice il profeta: “E i cieli proclameranno la sua giustizia; perché Dio stesso sta per giudicare”. Salmi 50:6. Quella santa legge, che manifesta la giustizia di Dio, proclamata sul monte Sinai in mezzo a tuoni e lampi fiammeggianti come guida di vita, è rivelata ora agli uomini come l’unica regola del giudizio. La mano apre le due tavole e su di esse si vedono i precetti del decalogo scritti a caratteri di fuoco. Le parole sono talmente chiare che tutti le possono leggere. La memoria si risveglia. Le tenebre della superstizione e dell’eresia sono dissipate da ogni spirito e i dieci comandamenti di Dio, brevi ma di vasta portata e autorevoli, sono visibili a tutti gli abitanti della terra. È impossibile descrivere l’orrore e la disperazione di coloro che hanno rigettato i princìpi divini. Il Signore aveva dato loro la sua legge: essi avrebbero potuto meditarla e rendersi conto dei propri limiti mentre c’era ancora il tempo per pentirsi e riformarsi. Invece, per assicurarsi il favore del mondo, essi hanno accantonato quei santi precetti e insegnato ad altri a trasgredirli. Non solo, ma hanno anche cercato di costringere il popolo di Dio a profanare il sabato. Ora sono condannati proprio da quella legge che hanno disprezzato. Si rendono conto chiaramente di non avere scuse. Essi hanno scelto l’oggetto del loro culto. “E voi vedrete di nuovo la differenza che v’è fra il giusto e l’empio, fra colui che serve Dio e colui che non lo serve”. Malachia 3:18.
I nemici della legge di Dio, dai pastori fino ai più semplici fedeli, hanno ora un nuovo concetto della verità e del dovere. Troppo tardi, però, si accorgono che il sabato del quarto comandamento è il suggello del Dio vivente. Troppo tardi scorgono la natura del loro falso giorno di riposo e si rendono conto di aver edificato sulla sabbia. Capiscono di avere lottato contro Dio. I capi religiosi hanno condotto gli uomini alla perdizione pur dicendo di guidarli verso le porte del paradiso. Solo nel giorno del giudizio finale si saprà quanto sia stata grande la responsabilità di uomini che occupavano posizioni di sacra responsabilità e quanto siano stati gravi i risultati della loro infedeltà. L’eternità rivelerà ciò che significa anche la perdita di un solo uomo. Sarà terribile la sorte di colui al quale Dio dirà: “Vattene da me, malvagio servitore!” La voce di Dio risuona in cielo, annunciando il giorno e l’ora della venuta di Gesù e proclamando al suo popolo il patto eterno. Simili al fragore di un violento tuono, le sue parole echeggiano in tutta la terra. I figli di Dio le ascoltano e volgono il loro sguardo in alto. I volti dei credenti sono illuminati dalla sua gloria e risplendono come il volto di Mosè quando scese dal Sinai. Gli empi non possono sopportare la loro vista. E quando la benedizione viene4 pronunciata su coloro che hanno onorato Dio, santificando il suo santo sabato, si ode un grande grido di vittoria.
Presto appare verso oriente una piccola nuvola nera, grande come la mano di un uomo. È la nube che circonda il Salvatore e che, a distanza, sembra avvolta dalle tenebre. Il popolo di Dio sa che questo è il segno della venuta del Figlio dell’uomo. La osserva in silenzio solenne mentre essa si avvicina sempre più alla terra facendosi via via più luminosa e splendente fino a diventare una grande nuvola bianca alla cui base c’è un fuoco ardente, mentre sopra di essa si scorge l’arcobaleno della promessa. Gesù avanza come un conquistatore. Non è più l’“uomo di dolore” che viene a bere l’amaro calice della sofferenza e dell’infamia. Vincitore in cielo e sulla terra, egli viene per giudicare i vivi e i morti. “…Il Fedele e il Verace… giudica e guerreggia con giustizia”. È seguito dagli “eserciti che sono nel cielo…” Apocalisse 19:11, 14. È scortato da una numerosa schiera di angeli che cantano. Il cielo sembra vibrare di “mille migliaia e diecimila miriadi” di questi esseri gloriosi. Nessuna penna umana può descrivere la scena e nessuna mente mortale può concepirne lo splendore. “…La sua gloria copre i cieli, e la terra è piena della sua lode. Il suo splendore è pari alla luce…” Abacuc 3:3, 4. Mentre la nuvola si avvicina, ogni occhio contempla il Principe della vita. Nessuna corona di spine deturpa la sua fronte. La luce del suo volto fa impallidire quella del sole a mezzogiorno.
“E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: Re dei re, Signor dei signori”. Apocalisse 19:16.
In sua presenza “…tutte le facce son diventate pallide” (Geremia 30:6) e coloro che hanno respinto la misericordia di Dio provano il terrore della disperazione eterna. “…I cuori si struggono, le ginocchia tremano… tutti i volti impallidiscono”. Nahum 2:10. I giusti, vacillando, gridano: “Chi può reggere in piè?” Il canto degli angeli cessa e segue un periodo di terribile silenzio. Ma si ode la voce di Gesù che dice: “La mia grazia ti basta”. I volti dei giusti, allora, si illuminano e la gioia inonda i loro cuori. Gli angeli intonano di nuovo il loro canto che si fa sempre più forte a mano a mano che si avvicinano alla terra.
Il Re dei re scende sopra la nuvola avvolta da fiamme di fuoco. Il cielo si ritira “…come una pergamena che si arrotola…”, la terra trema davanti a lui e “…
ogni montagna e ogni isola fu rimossa dal suo luogo”. Apocalisse 6:14. “L’Iddio nostro viene e non se ne starà cheto: lo precede un fuoco divorante, lo circonda una fiera tempesta. Egli chiama i cieli di sopra e la terra per assistere al giudicio del suo popolo”. Salmi 50:3, 4.
“E i re della terra e i grandi e i capitani e i ricchi e i potenti e ogni servo e ogni libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti; e dicevano ai monti e alle rocce: Cadeteci addosso e nascondeteci dal cospetto di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della sua ira, e chi può reggere in piè?” Apocalisse 6:15-17.
Le beffe e gli scherni sono finiti. Le labbra bugiarde sono ridotte al silenzio. Il rumore delle armi, il tumulto della battaglia “…ogni mantello avvoltolato nel sangue…” (Isaia 9:4) sono cessati. Si odono solo preghiere, pianti e lamenti. Dalle labbra, che fino a poco prima si aprivano per schernire, esce il grido: “È venuto il gran giorno della sua ira e chi può reggere in piè?” Gli empi chiedono alle rocce dei monti di seppellirli, piuttosto che affrontare lo sguardo di colui che hanno disprezzato e respinto.
Essi conoscono bene quella voce che giunge fino alle orecchie dei morti.
Quante volte i suoi accenti dolci e teneri li avevano invitati al ravvedimento! Quante volte l’avevano udita nelle affettuose esortazioni di un amico di un fratello e dello stesso Redentore! Per coloro che hanno rifiutato la sua grazia, nessuna voce potrebbe essere più severa, più terribile di quella che per tanto tempo ha esortato: “…convertitevi dalle vostre vie malvage! E perché morreste voi, o casa d’Israele?” Ezechiele 33:11. Oh, se questa voce fosse per loro quella di un estraneo! Gesù dice: “Ma poiché, quand’ho chiamato avete rifiutato d’ascoltare, quand’ho steso la mano nessun vi ha badato, anzi avete respinto ogni mio consiglio e della mia correzione non ne avete voluto sapere”. Proverbi 1:24, 25. Quella voce risveglia ricordi che essi vorrebbero poter cancellare: avvertimenti disprezzati, inviti respinti, privilegi trascurati.
Ci sono anche coloro che schernirono il Cristo nella sua umiliazione. Con irrefrenabile potenza ritornano alla loro mente le parole di Gesù sofferente, quando, scongiurato dal sommo sacerdote, dichiarò: “…da ora innanzi vedrete il Figliuol dell’uomo sedere alla destra della Potenza, e venire su le nuvole del cielo”. Matteo 26:64. Ora essi lo contemplano nella sua gloria e ancora non l’hanno visto seduto alla destra della potenza divina.
Coloro che derisero la sua affermazione di essere il Figlio di Dio, ora sono senza parole. C’è il superbo Erode che ridicolizzò il suo titolo regale ordinando ai beffardi soldati di incoronarlo. Vi sono coloro che con mani sacrileghe lo rivestirono di un mantello rosso, gli posero sulla fronte una corona di spine e nella sua docile mano uno scettro per poi inchinarsi davanti a lui con disprezzo e bestemmie. Quegli uomini, che picchiarono il Principe della vita e gli sputarono addosso, ora si sottraggono al suo sguardo penetrante e cercano di fuggire davanti all’irresistibile gloria della sua presenza. Coloro che gli conficcarono i chiodi nelle mani e nei piedi, che gli forarono il costato, osservano quei segni con terrore e con rimorso.
Gli eventi del Calvario ritornano alla mente dei sacerdoti e dei capi con spaventosa chiarezza ed è con un vivo senso di sgomento che rievocano il momento in cui, scuotendo la testa, dissero su ispirazione di Satana: “Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d’Israele, scenda ora giù di croce, e noi crederemo in lui. S’è confidato in Dio; lo liberi ora, s’Ei lo gradisce…” Matteo 27:42, 43.