Lost in Translation

Un’espressione inglese che potremmo tradurre così: le differenze linguistiche, culturali o di interpretazione creano ponti o barriere. La scelta spetta a noi. In occasione della Giornata internazionale della lingua madre (21 febbraio), pubblichiamo un articolo sul potere del linguaggio del cuore

Chantal J. e Gerald A. Klingbeil – Il linguaggio è un elemento prezioso della cultura. Influisce sul modo in cui pensiamo e ci esprimiamo a un livello profondo. È parte della nostra identità fondamentale. Può aiutarci a superare confini e a connetterci con gli altri, ma può anche diventare una barriera nelle relazioni.

Venticinque anni fa, le Nazioni Unite hanno designato il 21 febbraio come Giornata internazionale della lingua madre, una ricorrenza per riflettere, celebrare e promuovere la consapevolezza sulla diversità culturale e linguistica. È il giorno in cui possiamo pensare alle nostre lingue e radici, e all’importanza di una comunicazione autentica.
Negli ultimi 35 anni abbiamo vissuto in diversi continenti e dovuto imparare nuove lingue. Quando siamo arrivati in Sudamerica nel 1995, non conoscevamo una parola di spagnolo, ma sapevamo che per svolgere il nostro lavoro in quel contesto, come professori universitari, avremmo dovuto esprimerci fluentemente in quella lingua.

Apprendere lo spagnolo subendo la pressione dal tempo è stato difficile. Ci siamo presto resi conto che la nostra comprensione del linguaggio implicava qualcosa di più della grammatica, della sintassi e della semantica. Dovevamo essere in grado di ascoltare quello che alcuni chiamano “il linguaggio del cuore”; una lingua che va oltre il vocabolario corretto, i tempi verbali e la struttura delle frasi. Richiede un ascolto empatico, capace di cogliere le sfumature tra le parole e le righe. Il linguaggio del cuore ci sfida ad aprire l’animo e la mente agli altri, che potrebbero non pensare come noi o condividere gli ideali, le convinzioni o i principi fondamentali che seguiamo.

Il linguaggio crea connessioni
Alla fine, abbiamo imparato lo spagnolo, cosa che ci ha aiutato a entrare in una nuova cultura che è diventata la nostra casa per undici anni. Ci è voluto del tempo e un po’ di dolore condiviso, ma siamo riusciti a “comprendere” oltre la grammatica, la semantica e la sintassi. Si capiva che non eravamo madrelingua, ma siamo riusciti ad avvicinarci di più alle persone che erano con noi in Perù e poi in Argentina, parlando e comprendendo la loro lingua, incluso “il linguaggio del cuore”.

Il nostro è un matrimonio interculturale. Non condividiamo la stessa lingua madre, nemmeno i nostri figli. L’inglese è diventato l’idioma della nostra unione, dato che ci siamo incontrati e sposati in un ambiente anglofono, anche se ora viviamo in un paese di lingua tedesca. I nostri figli hanno una lingua materna (l’inglese), così come una lingua paterna (il tedesco).

In tedesco predichiamo, ci relazioniamo con le persone intorno a noi e scriviamo (e questo non è sempre facile per Chantal) e ci rendiamo conto che la nostra capacità di gestire tre lingue diverse è allo stesso tempo un vantaggio e una limitazione: un vantaggio perché possiamo entrare in contatto facilmente con coloro la cui lingua madre è lo spagnolo o l’inglese, e farle sentire a casa; è un limite perché non possiamo essere completamente abili e capaci in tutti e tre i linguaggi.

Esprimersi non in “avventistese”
Perché dovreste spendere del tempo leggendo (nella traduzione in italiano ndt) le nostre riflessioni sulla Giornata della lingua madre o sul viaggio che abbiamo intrapreso per imparare nuovi idiomi? Il linguaggio è cruciale nelle relazioni e nella crescita della chiesa. È un mezzo fondamentale per comunicare tra di noi. Le gioie, le frustrazioni, la rabbia, le convinzioni, condividiamo tutto attraverso la lingua che è una parte importante del processo comunicativo.

Le comunità avventiste (compresi i pastori) sono state spesso molto portate a parlare la cosiddetta “lingua della chiesa” (l’“avventistese” ndt). È il modo di esprimersi degli esperti, ricco di termini e concetti che poche persone, vivendo in un mondo sempre più secolare, possono comprendere o col quale riescono a interfacciarsi.

In inglese questa lingua spesso riecheggia la terminologia della King James Version (una delle traduzioni più famose della Bibbia in lingua inglese, ndt) o degli scritti di Ellen G. White (co-fondatrice della chiesa avventista ndt). I non esperti spesso la trovano incomprensibile e difficile da capire. Tuttavia, per chi è dentro la chiesa, questa lingua offre un modo comodo per determinare chi vi fa parte e chi no. Nella maggior parte dei casi, non si tratta di uno sforzo consapevole o del risultato di riflessioni esclusiviste o ideologiche. È solo la conseguenza del modo di pensare sempre meno a chi ci circonda e a chi non appartiene alla chiesa.

Le comunità che si sono impegnate a includere in modo consapevole il mondo di cui fanno parte devono lavorare sodo per evitare l’”avventistese”. Hanno bisogno di trovare modi per comunicare i principi eterni e le verità divine in un linguaggio che i loro vicini dall’altra parte della strada, e che non sono mai entrati in una chiesa, possano comprendere intellettualmente ed emozionalmente.

Chi si propone di smettere di parlare il “linguaggio della chiesa”, troverà benedizioni inaspettate mentre comincia a rielaborare la lingua delle narrazioni bibliche e delle verità eterne in relazione al mondo del ventunesimo secolo. Proprio come è successo a noi quando abbiamo sudato e faticato per imparare lo spagnolo, scopriranno nuove profondità e orizzonti inaspettati di concetti e principi pieni di grazia. Queste idee incoraggiano coloro che le ascoltano, così come chi le esprime per la prima volta, a entrare in una dimensione di appartenenza e sano spirito di comunità, dove tutti siamo invitati a far parte della famiglia di Dio sulla terra, che continuerà per l’eternità.

Rinunciare all’“avventistese” potrà non sembrare comodo o facile, ma imparare a riflettere il “linguaggio del cuore” di Dio varrà sicuramente la pena.

(I coniugi Chantal J. e Gerald A. Klingbeil hanno servito la Chiesa avventista per quasi tre decenni a livello internazionale come professori, conduttori televisivi, editori e direttori associati. Ora vivono nei pressi di Amburgo, in Germania, e svolgono il loro servizio nella Federazione avventista anseatica).

[Fonte: adventistreview.org / Tradotto da Veronica Addazio]

 

La voce Lost in Translation è stata pubblicata per la prima volta su HopeMedia Italia.