Capitolo 08 - Lutero alla dieta di Worms - Parte 01

Sul trono della Germania era salito un nuovo imperatore, Carlo V. Roma si affrettò a felicitarsi con lui e a chiedergli di intervenire contro la Riforma.
L’elettore di Sassonia, invece, al quale Carlo doveva in gran parte la corona, esortava l’imperatore a non procedere contro Lutero, fino a quando non avesse avuto la possibilità di parlare con lui. Carlo V si trovò così in difficoltà e in serio imbarazzo. Mentre i sostenitori del papa chiedevano un editto che condannasse a morte Lutero, l’elettore affermava con fermezza che “né sua maestà l’imperatore né altri avevano ancora dimostrato che gli scritti di Lutero fossero stati smentiti”. Perciò chiedeva che “a Lutero fosse concesso un salvacondotto che gli permettesse di presentarsi davanti a un tribunale di giudici dotti, pii e imparziali”. L’attenzione di tutti, ora, si volgeva verso l’assemblea degli stati tedeschi che si sarebbe riunita a Worms subito dopo l’ascesa al trono di Carlo V. In quel consiglio nazionale sarebbero stati esaminati importanti problemi di carattere politico. Per la prima volta i prìncipi tedeschi si sarebbero incontrati con il giovane sovrano in un’assemblea legislativa. Da tutte le parti della Germania convenivano a Worms i dignitari della chiesa e dello stato. Nobili signori, potenti e gelosi dei loro diritti ereditari, ecclesiastici di alto lignaggio, che facevano sfoggio della loro autorità, cavalieri di corte accompagnati da scorte armate, ambasciatori provenienti da lontane terre straniere: tutti si recavano a Worms. Eppure, in quella grande assemblea, l’argomento che suscitava il più profondo interesse era la causa del riformatore sassone.
In precedenza, Carlo V aveva suggerito all’elettore di venire accompagnato da Lutero, al quale assicurava la sua protezione e una libera discussione con uomini competenti delle questioni oggetto della disputa. Lutero, a sua volta, desiderava comparire davanti all’imperatore. In quel periodo la sua salute era precaria, ma scrisse all’elettore: “Se non potrò andare a Worms in buone condizioni fisiche, mi ci farò portare malato come sono.
L’imperatore mi chiama e sono certo che questo invito venga da Dio stesso.
Se essi intendono usare la violenza nei miei confronti, il che è probabile (in quanto l’ordine di comparizione non mi è stato inviato perché i miei avversari desiderano condividere i miei insegnamenti), io mi affido al Signore.
Tuttora vive e tuttora regna colui che protesse i tre giovani nella fornace ardente. Se egli non mi dovesse salvare in fondo ha ben scarsa importanza.
Impediamo che il messaggio del Vangelo sia esposto allo scherno dei malvagi. Spargiamo il sangue, purché essi non trionfino. Non sta a me decidere se la mia vita o la mia morte contribuirà alla salvezza di tutti… Da me potete aspettarvi qualunque cosa salvo la fuga o l’abiura. Io non posso sottrarmi, né tanto meno ritrattare”. Non appena a Worms si seppe che Lutero sarebbe comparso davanti alla Dieta, nacque un vivo fermento. Aleandro, il legato papale a cui era stato affidato il compito di occuparsi della vertenza, era allarmato e furibondo. Si rendeva conto che l’esito del dibattito sarebbe stato disastroso per il papato.
Prendere in esame il caso, per il quale il papa aveva già emesso una sentenza di condanna, significava mettere in discussione l’autorità del sommo pontefice. Inoltre, egli temeva che le convincenti e importanti argomentazioni di Lutero riuscissero a persuadere molti prìncipi ad abbandonare il partito del papa. Perciò si affrettò a fare le sue rimostranze a Carlo V, insistendo perché non si permettesse al riformatore di venire a Worms. Fu in quell’epoca che apparve la bolla di scomunica contro Lutero. Questo fatto, unito alle argomentazioni del legato, indusse l’imperatore a cedere. Egli scrisse all’elettore che Lutero, se non intendeva ritrattare, poteva rimanersene a Wittenberg.
Non contento di questa vittoria, Aleandro si impegnò con tutte le forze e l’astuzia, per ottenere la condanna di Lutero. Con una tenacia degna di un obiettivo migliore, egli sottopose il caso all’attenzione dei prìncipi, dei prelati e degli altri esponenti dell’assemblea, accusando il riformatore di “sedizione, ribellione e bestemmia”. Però la veemenza e la passione che il legato manifestava dimostravano chiaramente lo spirito che lo animava. “Egli è mosso più dall’odio e dalla sete di vendetta” fu l’osservazione generale “che dallo zelo e dalla pietà”. La maggior parte dei membri della Dieta erano disposti a considerare favorevolmente la posizione di Lutero. Con rinnovato zelo, Aleandro ricordò all’imperatore il suo dovere di eseguire gli editti papali. Però, considerate le leggi vigenti della Germania, ciò non poteva essere fatto senza il consenso dei prìncipi. Carlo, alla fine, cedendo alle insistenze del legato papale, autorizzò Aleandro a sottoporre il caso alla Dieta. “Per il nunzio quello fu un gran giorno. L’assemblea era grande e ancora più grande6 era la causa. Aleandro rappresentava Roma madre e signora di tutte le chiese”. Egli doveva rivendicare la supremazia di Pietro davanti ai maggiori esponenti del mondo cristiano. “Aleandro aveva il dono dell’eloquenza e ancora una volta si dimostrò all’altezza della situazione. Dio permise che Roma, prima di essere condannata, fosse rappresentata e difesa dal suo più abile oratore, alla presenza del tribunale più importante”. Con giustificato timore, coloro che sostenevano il riformatore immaginavano gli effetti del discorso di Aleandro. L’elettore di Sassonia, che non era presente, aveva incaricato alcuni suoi consiglieri di parteciparvi e di prendere appunti su quanto il nunzio avrebbe detto.
Con tutta la forza del sapere e dell’eloquenza, Aleandro si dispose ad attaccare la verità. Accusa dopo accusa si scagliò contro Lutero, considerato nemico della chiesa e dello stato, dei vivi e dei morti, del clero e dei laici, dei concili e dei singoli cristiani. “Gli errori di Lutero” egli disse “sono sufficienti per far bruciare centomila eretici!” Concludendo, egli si sforzò di gettare il discredito sugli aderenti alla fede riformata. “Che cosa sono tutti questi luterani? Un gruppo di insolenti pedagoghi, di preti corrotti, di monaci dissoluti, di avvocati ignoranti, di nobili degradati, uniti al popolo comune che sono riusciti a sviare e a pervertire.
Il cattolicesimo non è forse superiore per numero, capacità e potenza? Un decreto unanime, da parte di questa illustre assemblea, servirà a illuminare i semplici, ad avvertire gli imprudenti, a far decidere i tentennanti e a fortificare i deboli”. In tutti i tempi i difensori della verità sono stati attaccati con le stesse armi. Queste argomentazioni sono utilizzate anche oggi contro chi osa opporre agli errori comuni i chiari e diretti insegnamenti della Parola di Dio.
“Chi sono questi predicatori di nuove dottrine?” esclamano coloro che desiderano una religione di massa. “Sono privi di cultura, sono numericamente pochi e appartengono alla classe più povera della società. Eppure, pretendono di annunciare la verità e di essere il popolo eletto di Dio! Essi sono solo degli ignoranti e degli illusi. Come è superiore, per numero e per prestigio, la nostra chiesa! Quanti uomini importanti e dotti ci sono fra noi! Come è straordinaria la nostra potenza!” Queste sono le argomentazioni che fanno presa sul mondo, ma anche oggi non sono più convincenti di quanto non lo fossero ai tempi del riformatore.
La Riforma non finì con Lutero, come forse alcuni pensano. Essa deve proseguire sino alla fine della storia del mondo. Lutero aveva una grande opera da compiere: trasmettere agli altri il messaggio che Dio gli aveva affidato. Egli, però, non ricevette tutta la verità che doveva essere proclamata al mondo.
Da allora, e fino ai nostri giorni, nuove conoscenze hanno continuato a scaturire dalle Scritture e nuove verità sono state riscoperte progressivamente.
Il discorso del prelato produsse una profonda impressione sulla Dieta.
Lutero non era presente per affrontare il rappresentante papale con le sue chiare e convincenti verità tratte dalla Parola di Dio. Non fu fatto nessun tentativo per difendere il riformatore; l’opinione prevalente mirava non solo a condannare Lutero e le sue dottrine, ma anche, se possibile, a sradicare l’eresia. Roma aveva difeso la sua causa nelle condizioni più favorevoli. Tutto quello che poteva dire a sua difesa era stato detto. Però quell’apparente vittoria fu il segnale della sconfitta. Da quel momento aumentò e si fece sempre più netto il contrasto fra verità ed errore. Da quel giorno la chiesa di Roma non si sarebbe sentita più sicura come lo era stata fino ad allora.
Mentre la maggior parte dei membri della Dieta non avrebbe esitato a consegnare Lutero affinché Roma potesse realizzare la sua vendetta, molti altri si rendevano conto della depravazione esistente nella chiesa e la disapprovavano; inoltre, desideravano eliminare gli abusi con i quali la chiesa, per la sua corruzione e la sua avidità, opprimeva il popolo tedesco. Il legato aveva presentato il governo papale sotto la luce più favorevole. Il Signore, però, si servì di un membro influente della Dieta perché fosse manifestato il vero volto della tirannia papale. Con nobile fermezza, il duca Giorgio di Sassonia si alzò in quell’assemblea di prìncipi e con tremenda precisione non esitò a elencare gli inganni e gli abusi del papato e le relative conseguenze.
Concludendo disse: “Questi sono alcuni degli abusi che gridano contro Roma.
Non hanno più ritegno e il loro unico obiettivo è… denaro, denaro, denaro…, tanto che i predicatori che dovrebbero insegnare la verità, predicano soltanto falsità e non solo sono tollerati, ma vengono addirittura ricompensati, perché maggiori sono le loro menzogne, maggiore è il loro guadagno. Da questa sorgente sgorgano acque inquinate. La corruzione tende la mano all’avarizia… Purtroppo è lo scandalo del clero che spinge tanti uomini verso la condanna eterna. È necessaria una riforma universale!”6 Lo stesso Lutero non avrebbe potuto fare una più abile ed energica denuncia degli abusi papali. Il fatto, poi, che l’oratore fosse nemico dichiarato di Lutero, dava alle sue parole una forza ancora maggiore.
Se gli occhi dei presenti fossero stati aperti, avrebbero visto in mezzo a loro gli angeli di Dio illuminare gli uomini, aprendo menti e cuori all’accettazione della verità. La potenza del Dio di verità e di sapienza dominava gli stessi avversari della Riforma e preparava la via alla grande opera che doveva essere compiuta. Martin Lutero non era presente, però in quel congresso si era fatta udire la voce di qualcuno che era più grande di lui.
La Dieta nominò una commissione incaricata di redigere un elenco di imposte papali che gravavano pesantemente sul popolo tedesco. La lista, che conteneva ben cento e una specificazioni, fu presentata all’imperatore, accompagnata dalla richiesta di prendere immediatamente le misure8 necessarie per la repressione di tali abusi. “Quanti cristiani persi” dicevano i compilatori della lista “quanta corruzione, quante estorsioni risultano dagli scandali che circondano il capo spirituale della cristianità! È nostro dovere impedire sia la rovina sia il disonore del nostro popolo. Per questo, molto umilmente ma con insistenza, imploriamo che si preveda una riforma generale e si vegli sulla sua attuazione”. Il concilio, allora, chiese che il riformatore fosse convocato davanti all’assemblea. Nonostante l’opposizione, le proteste e le minacce di Aleandro, l’imperatore finì per accondiscendere alla richiesta e Lutero venne invitato a presentarsi alla Dieta. L’invito era accompagnato da un salvacondotto che gli garantiva il ritorno in piena sicurezza. Invito e salvacondotto furono recapitati a Wittenberg da un araldo, incaricato di accompagnare Lutero a Worms.
Gli amici di Lutero erano spaventati e sgomenti. Consapevoli dell’odio nutrito dai loro nemici temevano la violazione del salvacondotto ed esortavano Lutero a non rischiare la vita. Egli rispose: “I sostenitori del papa non desiderano semplicemente che io vada a Worms ma vogliono la mia condanna e la mia morte. Questo però, non ha molta importanza. Perciò, pregate non per me, ma per la Parola di Dio… Che Cristo mi dia il suo Spirito per vincere i sostenitori dell’errore. Io li ho disprezzati in vita e trionferò con la mia morte. Essi, a Worms, si impegnano per indurmi all’abiura; ebbene, questa sarà la mia ritrattazione: prima dicevo che il papa era il vicario di Cristo ora affermo che egli è l’avversario del nostro Signore e l’apostolo del diavolo!”8 Lutero non fece quel pericoloso viaggio da solo. Oltre al messaggero imperiale lo accompagnavano tre amici fidati. Anche Melantone avrebbe voluto unirsi a loro, perché era legato a Lutero e intendeva seguire l’amico condividendone, se necessario, il carcere e la morte. Però la sua proposta fu respinta. Se Lutero fosse morto le speranze della Riforma si sarebbero concentrate sul suo giovane collaboratore. Prima di partire per Worms, Lutero disse a Melantone: “Se io non dovessi ritornare, continua a insegnare e rimani saldo nella fede. Lavora al mio posto… Se tu sopravvivi, la mia morte non avrà importanza”. Studenti e cittadini, riunitisi per assistere alla partenza di Lutero, erano profondamente commossi. Tutti coloro che avevano accettato il messaggio del Vangelo lo salutarono in lacrime. Fu così che il riformatore e i suoi compagni lasciarono Wittenberg.
Durante il viaggio si resero conto che molti manifestavano tristi presentimenti. In certe località non furono oggetto di alcuna attenzione. Fermatisi in una cittadina per trascorrervi la notte, un prete amico espresse i propri timori mettendo sotto gli occhi di Lutero il ritratto di un riformatore italiano che aveva subìto il martirio. Il giorno seguente vennero a sapere che a Worms erano stati condannati gli scritti di Lutero. Messaggeri imperiali proclamavano ovunque il decreto dell’imperatore che invitava la gente a consegnare ai magistrati le opere incriminate. L’araldo, temendo per la sicurezza di Lutero e pensando che avesse cambiato parere, gli chiese se avesse ancora intenzione di proseguire il viaggio. La risposta fu: “Sebbene io sia stato bandito da ogni città, andrò ugualmente avanti”. A Erfurt, Lutero venne accolto con tutti gli onori. Circondato da una folla ammirata, percorse le vie che anni prima aveva attraversato con il suo sacco di frate mendicante. Visitò la sua cella nel convento e rievocò le lotte attraverso le quali la luce che aveva illuminato il suo spirito si era diffusa in tutta la Germania. Fu invitato a predicare. Nonostante il divieto, l’araldo glielo concesse ed egli poté così salire sul pulpito.
Davanti a un folto pubblico, il riformatore parlò dell’espressione di Gesù: “Pace a voi!” “Filosofi, teologi e scrittori” disse “si sono impegnati per indicare agli uomini la via della vita eterna, ma non ci sono riusciti. Io, ora, vi dirò…
Dio aveva risuscitato dai morti un uomo, il Signore Gesù Cristo, affinché egli distruggesse la morte, estirpasse il peccato e chiudesse le porte dell’inferno.
Questa è l’opera della salvezza… Cristo ha vinto: ecco il lieto annuncio. Voi siete salvati, non per le vostre opere, ma per la sua opera… Il nostro Signore ha detto: “Pace a voi. Guardate le mie mani!” Ciò significa: “Uomo, guarda: sono io, io solo che ho cancellato il tuo peccato e ti ho riscattato. Ora tu hai la pace”. Questo vi dice il Signore”.
Proseguì dimostrando che la vera fede si manifesta in una vita santa.
“Poiché Dio ci ha salvati, facciamo in modo che le nostre opere gli siano gradite. Sei ricco? I tuoi beni servano anche a sopperire alle necessità dei poveri.
Sei povero? Il tuo servizio sia accettato dal ricco. Se il tuo lavoro è utile solo a te, il servizio che vuoi offrire a Dio è pura menzogna”. La gente ascoltava a bocca aperta. Il pane della vita era presentato a quelle anime affamate, davanti alle quali il Cristo veniva innalzato al di sopra dei papi, dei legati, degli imperatori e dei re. Lutero non parlò del pericolo che correva, non cercò di richiamare su di sé l’attenzione e la simpatia degli altri. Nella contemplazione del Cristo, egli aveva perso di vista se stesso.
Nascondendosi dietro all’uomo del Calvario, cercava di presentare Gesù, il Salvatore dei peccatori.
Continuando il suo viaggio, Lutero notava il crescente interesse delle popolazioni. Le folle lo circondavano e le voci amiche lo avvertivano dei progetti dei sostenitori del papa. “Essi ti bruceranno” dicevano alcuni “e ridurranno il tuo corpo in cenere, come fecero con Jan Hus”. Lutero rispondeva: “Se anche accendessero un fuoco da Worms a Wittenberg, fuoco le cui fiamme giungessero fino al cielo, io lo attraverserei nel nome del Signore, per presentarmi davanti a loro, entrare nelle fauci di questo behemot (animale mostruoso, ndt) spezzargli i denti, confessando il Signore Gesù Cristo”.120 La notizia del suo arrivo a Worms provocò un vero fermento. Gli amici temevano per la sua incolumità, mentre i nemici tramavano per la riuscita del loro complotto. Molti cercarono di dissuaderlo a entrare nella città. Su istigazione dei prelati, gli venne consigliato di rifugiarsi nel castello di un cavaliere amico dove, tutte le difficoltà sarebbero state amichevolmente appianate.
Gli amici cercavano di alimentare i suoi timori, descrivendo i pericoli che lo minacciavano. Ogni sforzo, però, fu vano: Lutero fu inamovibile e dichiarò: “Se a Worms ci fossero tanti diavoli quante sono le tegole sui tetti delle case, io vi entrerei”. Al suo arrivo a Worms, una gran folla si accalcò alle porte della città per dargli il benvenuto. Un simile assembramento di popolo non si era visto neppure in occasione dell’omaggio tributato allo stesso imperatore. L’agitazione era intensa. Dalla folla si elevò una voce lamentosa che cantava un inno funebre, quasi volesse avvertire Lutero della sorte che lo attendeva. “Dio sarà la mia difesa” egli disse mentre scendeva dalla carrozza che lo aveva trasportato fin là.
I sostenitori del papa non avevano creduto che Lutero avrebbe osato presentarsi a Worms, perciò il suo arrivo li preoccupò profondamente.
L’imperatore chiese ai suoi consiglieri quale linea di condotta gli convenisse seguire. Uno dei vescovi, un rigido seguace del papa, dichiarò: “Ci siamo consultati a lungo su questo punto: sua Maestà imperiale si sbarazzi subito di quest’uomo. Sigismondo non fece bruciare Jan Hus? Noi non siamo tenuti a dare o a rispettare il salvacondotto di un eretico”. “No!” rispose l’imperatore “noi dobbiamo mantenere la parola data”. Venne quindi deciso di ascoltare il riformatore.
Tutta la città era ansiosa di vedere quell’uomo straordinario e ben presto una vera processione di visitatori si avviò verso il luogo dove egli alloggiava.
Lutero si era appena ristabilito da una malattia, era stanco di un viaggio faticoso durato due settimane e doveva prepararsi per affrontare gli eventi decisivi della sua vita. Aveva quindi bisogno di quiete e di riposo. Però era così grande il desiderio della folla di vederlo che egli, dopo poche ore di riposo, fu costretto ad accogliere quanti erano venuti per parlargli: nobili, cavalieri, sacerdoti, cittadini. Fra questi vi erano molti membri della nobiltà i quali avevano chiesto all’imperatore una riforma per gli abusi ecclesiastici e che, come disse Lutero “erano stati liberati dal messaggio del Vangelo”. Nemici e amici venivano a vedere il coraggioso monaco ed egli accoglieva tutti e rispondeva con dignità e saggezza. Il suo comportamento era caratterizzato dalla fermezza e dal coraggio. Il suo volto pallido, magro, segnato dalla fatica e dalla malattia aveva sempre un’espressione lieta e gentile. La solennità e la sincerità delle sue parole gli davano una forza a cui gli stessi nemici erano incapaci di resistere. Amici e avversari erano stupiti. Alcuni si convincevano che egli fosse sostenuto da una forza divina mentre altri, come i farisei con Gesù, dicevano: “Egli ha il demonio!” Il giorno dopo, Lutero fu invitato a presentarsi davanti alla Dieta. Un ufficiale imperiale ebbe l’incarico di scortarlo fino alla sala delle udienze. Non fu facile raggiungerla, perché ogni strada era gremita di persone che volevano vedere il monaco che aveva osato resistere all’autorità del papa.
Al momento di comparire davanti ai giudici, un vecchio generale, eroe di molte battaglie, gli disse con bontà: “Povero monaco, povero monaco, tu stai per occupare una posizione molto più nobile di quella che io o qualsiasi altro comandante abbia mai occupato nelle più sanguinose battaglie. Se la tua causa è giusta, e tu ne sei convinto, vai avanti nel nome di Dio e non aver paura di nulla. Dio non ti abbandonerà”. Finalmente Lutero si trovò alla presenza del concilio. L’imperatore era seduto sul trono, circondato dai più illustri personaggi dell’impero. Mai un uomo si era trovato al cospetto di un’assemblea più imponente di quella davanti alla quale Lutero era stato chiamato a rispondere della sua fede.
“Questa sua comparizione era, in sé, un’eclatante vittoria sul papato. Il papa aveva condannato quell’uomo ed ora ecco che si trovava davanti a un tribunale che, per questo stesso atto, si metteva al di sopra del papa. Il papa l’aveva scomunicato e bandito dalla società, ma le autorità si rivolgevano a lui con un linguaggio rispettoso e lo ricevevano davanti alla più importante assemblea del mondo. Il papa l’aveva condannato al silenzio e invece Lutero stava per parlare davanti a migliaia di attenti uditori, convenuti dalle più remote parti del mondo cristiano. Grazie a quel riformatore si stava verificando un’immensa rivoluzione. Roma cominciava già a scendere dal suo trono e questa sua umiliazione era stata provocata dalla voce di un monaco”. Davanti a quella potente assemblea il riformatore, di umili origini, sembrava imbarazzato e sgomento. Vari prìncipi, notando la sua emozione, gli si accostarono e uno sussurrò: “Non temere coloro che uccidono il corpo ma non possono uccider l’anima!” Un altro disse: “E sarete menati davanti a governatori e re per cagion mia e lo Spirito del Padre vostro vi suggerirà quello che dovete dire”. Così le parole del Cristo erano ricordate dai più grandi uomini del mondo, per incoraggiare il suo messaggero nell’ora della prova.
Lutero fu accompagnato al posto assegnatogli, proprio di fronte al trono dell’imperatore. Un profondo silenzio calò sull’assemblea. Un ufficiale imperiale si alzò e, additando una raccolta di scritti del riformatore, gli chiese di rispondere a due domande: li riconosceva come suoi? Era disposto a ritrattare le opinioni espresse? Essendo stati letti i titoli, Lutero rispose che li riconosceva come suoi scritti. “Quanto alla seconda domanda” egli disse “visto che si tratta di qualcosa che riguarda la fede e la salvezza degli uomini e2 coinvolge il tesoro più prezioso del cielo e della terra, cioè la Parola di Dio, io non vorrei agire con imprudenza e ciò si verificherebbe se io rispondessi senza riflettere. Potrei affermare meno di quello che le circostanze esigono o più di quello che la verità richiede. In questo modo peccherei contro le parole del Cristo: “Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli”. Matteo 10:33. Per questa ragione, chiedo in tutta umiltà alla Maestà vostra che mi venga concesso il tempo per rispondere senza recare offesa alla Parola di Dio”. Formulando questa richiesta Lutero agiva con molta saggezza. Questo suo comportamento, infatti, convinse i presenti che egli non agiva spinto dall’impulso o dalla passione. Tanta calma e tanta padronanza di sé, inattesi in chi si era dimostrato ardito oltre che deciso a non accettare nessun compromesso, accrescevano la sua forza e gli permettevano di rispondere con prudenza, decisione, saggezza e dignità tali da sorprendere o contrariare gli avversari i quali si sentivano colpevoli per la loro insolenza e per il loro orgoglio. Gli fu concesso di presentarsi il giorno seguente per dare la sua risposta definitiva.
Rimasto solo, per un momento sentì il suo cuore fermarsi. Pensando alle forze coalizzate contro la verità, la sua fede ebbe un attimo di titubanza: timore e tremore lo invasero e si sentì sopraffatto dalla paura. I pericoli si moltiplicavano intorno a lui; sembrava che i nemici stessero per trionfare e le potenze delle tenebre avessero il sopravvento. Le nubi si addensavano intorno a lui, separandolo da Dio, ma egli desiderava avere la certezza che il Signore degli eserciti sarebbe stato con lui. Angosciato si gettò con la faccia a terra e si abbandonò a quelle grida strazianti e desolate che solo Dio può comprendere pienamente.