Capitolo 08 - Lutero alla dieta di Worms - Parte 02

“Dio onnipotente ed eterno” implorò “come è terribile questo mondo! Ecco, esso apre la sua bocca per inghiottirmi e io ho così poca fede in te… Se io ripongo la mia fiducia nella forza terrena, tutto è finito… La mia ultima ora è giunta; la mia condanna è stata pronunciata… Dio mio, aiutami a lottare contro la sapienza umana! Intervieni… Soltanto tu puoi farlo… Perché questa non è la mia opera: è la tua. Io non posso fare nulla per vincere le potenze del mondo… Ma la causa è tua… Ed è una causa giusta ed eterna. Signore, aiutami! Dio fedele e immutabile, io non ripongo la mia fiducia in nessun uomo… Tutto ciò che è umano è incerto e precario. Tu mi hai scelto per compiere quest’opera… Sii al mio fianco, per amore del tuo diletto Figlio Gesù Cristo, che è la mia difesa, il mio scudo e il mio rifugio. Amen!”19 Nella sua saggezza Dio permise che Lutero si rendesse conto del rischio che correva e quindi non contasse sulle proprie forze, affrontando il pericolo con presunzione. Non era il timore delle sofferenze personali, della tortura e della morte che lo riempiva di terrore: era giunta l’ora della prova ed egli sentiva la propria incapacità ad affrontarla. Manifestando la sua debolezza, avrebbe potuto compromettere la proclamazione della verità. Perciò egli lottava con Dio, non per la propria salvezza, ma per il trionfo del messaggio del Vangelo. La sua angoscia e il suo tormento erano paragonabili a quelli provati da Giacobbe in quella lotta notturna sulle rive di un ruscello. Come Giacobbe, Lutero ottenne la vittoria. Consapevole dei propri limiti, egli si appellò al Cristo, suo liberatore, e si sentì fortificato dalla certezza che non sarebbe stato solo davanti al concilio. Provò una pace profonda e fu felice di avere il privilegio di sottolineare l’importanza della Parola di Dio davanti ai capi della nazione.
Confidando in Dio, Lutero si preparò al confronto. Elaborò la sua risposta, esaminò alcuni passi dei suoi scritti e attinse dalle Sacre Scritture prove valide per sostenere le sue posizioni. Poi, posando la mano sinistra sul sacro Libro aperto davanti a lui, alzò la destra verso il cielo e giurò “di rimanere fedele al Vangelo e di confessare apertamente la propria fede, anche se con questo avesse dovuto suggellare la sua testimonianza con il sangue”. Quando comparve nuovamente davanti alla Dieta, il suo volto non recava traccia di timore o di imbarazzo. Calmo e tranquillo, con un portamento nobile e dignitoso, egli si alzò come testimone di Dio fra i grandi della terra.
L’ufficiale imperiale gli chiese quale fosse la sua decisione e se intendesse ritrattare le sue tesi. Lutero rispose in tono umile e semplice, del tutto privo di violenza o di passione. Il suo contegno era rispettoso e deferente e ispirava una gioia e una fiducia tali che tutti ne furono sorpresi.
“Serenissimo imperatore, illustri prìncipi, nobili signori” esordì. “Mi ripresento oggi davanti a voi secondo l’ordine ricevuto ieri e, per la misericordia di Dio, scongiuro vostra Maestà e le vostre auguste altezze di voler ascoltare con la dovuta benevolenza la difesa di una causa che ne sono certo, è giusta e vera. Se per ignoranza io dovessi venir meno agli usi e alle esigenze delle corti, vi prego di volermi perdonare perché io non sono stato allevato nei palazzi dei re, ma nell’oscurità di un convento”. Venendo alla domanda rivoltagli, egli affermò che le opere da lui pubblicate non erano tutte della stessa natura. In alcune aveva parlato della fede e delle buone opere e perfino i suoi avversari non le ritenevano offensive, anzi utili. Ritrattarle significava condannare quelle verità che tutti accettavano. Il secondo gruppo consisteva in scritti che esponevano la corruzione e gli abusi del papato. Rigettarli voleva dire rafforzare la tirannia di Roma e spalancare le porte a molte e grandi ingiustizie. Nel terzo gruppo dei suoi libri, egli aveva accusato individui colpevoli di aver difeso gli abusi. In queste ultime opere, confessò francamente di essere stato più violento del dovuto. Senza pretendere di essere perfetto affermò che non poteva ritrattare perché, se lo avesse fatto, i nemici della verità si sarebbero inorgogliti e avrebbero avuto così l’occasione di opprimere con maggiore crudeltà il popolo di Dio.
“Comunque, io non sono Dio: sono un semplice uomo” proseguì “perciò mi difenderò come fece il Cristo: “Se ho parlato male, dimostrate il male”… Per la misericordia di Dio io vi scongiuro, serenissimo imperatore, illustrissimi prìncipi, uomini di ogni ceto, di provarmi con gli scritti dei profeti e degli apostoli in che cosa ho sbagliato. Non appena ne sarò convinto, ritratterò ogni errore e sarò il primo a prendere i miei libri e a gettarli nel fuoco. Quello che ho detto mostra chiaramente, spero, che ho valutato e considerato accuratamente i pericoli ai quali mi espongo; comunque, invece di allarmarmi, mi rallegro nel constatare che il messaggio del Vangelo è sempre, come in passato, causa di turbamento e di dissenso.
D’altra parte, è questo il destino della Parola di Dio. Gesù lo ha detto: “…
non sono venuto a mettere pace, ma spada”. Matteo 10:34. Dio è sublime e tremendo nei suoi consigli; per eliminare le discussioni fate attenzione a non distorcere la Parola di Dio e ad attirare su di voi una serie di pericoli insormontabili, di disgrazie presenti e di desolazioni eterne… Potrei citare numerosi esempi tratti dagli oracoli di Dio, parlare dei faraoni d’Egitto, dei re di Babilonia e d’Israele, le cui opere contribuirono alla loro distruzione quando, ricorrendo a consigli apparentemente saggi, cercarono di rafforzare il proprio potere. “Egli trasporta le montagne, senza che se ne avvedano”. Giobbe 9:5. Lutero aveva parlato in tedesco e fu invitato a ripetere il suo discorso in latino. Sebbene fosse esausto per lo sforzo sostenuto, acconsentì alla richiesta e ripeté il discorso con la stessa chiarezza e la stessa energia di prima.
Questa circostanza corrispondeva alla volontà di Dio. Le menti di molti prìncipi erano talmente accecate dall’errore e dalla superstizione che durante il primo discorso non erano riuscite ad afferrare tutta la forza delle argomentazioni di Lutero. Ma durante la ripetizione del discorso in latino, essi riconobbero la chiarezza dei punti presentati.
Quanti avevano ostinatamente rifiutato il messaggio, decisi a non lasciarsi convincere dalla verità, erano furibondi per le parole di Lutero. Quando egli ebbe finito, il portavoce della Dieta disse con voce irata: “Tu non hai risposto alla domanda che ti è stata fatta… Sei invitato, perciò, a dare una risposta chiara e precisa… Ritratti, si o no?” Lutero rispose: “Siccome sua Maestà serenissima e le illustri autorità esigono da me una risposta chiara, semplice e precisa, io la darò ed è questa: io non posso sottomettere la mia fede né al papa, né ai concili, perché è chiaro come la luce che essi si sono spesso sbagliati e contraddetti. Perciò, a meno che io non venga convinto mediante la testimonianza della Scrittura o da un chiaro ragionamento e non sia persuaso mediante i passi da me citati, così che la mia coscienza risulti in sintonia con la Parola di Dio, io non posso, né voglio ritrattare, perché per un cristiano è pericoloso agire contro la propria coscienza. Questa è la mia posizione. Non posso fare diversamente. Dio mi aiuti. Amen”. Quell’uomo giusto faceva riferimento alla Parola di Dio. Il suo volto era illuminato da una luce celeste; la grandezza e la purezza del suo carattere, la pace e la gioia del suo cuore erano chiare a tutti, mentre egli parlava contro la potenza dell’errore e testimoniava di quella fede che vince il mondo.
Per alcuni istanti l’intera assemblea rimase muta per lo stupore. La prima volta che si era presentato alla Dieta, Lutero aveva parlato con voce bassa, con atteggiamento rispettoso, quasi sottomesso. I sostenitori del papa avevano concluso che il suo coraggio si stesse affievolendo e ritenevano che la sua richiesta di una dilazione fosse il preludio dell’abiura. Carlo V stesso, notando quasi con sprezzo l’aspetto sofferente del frate, il suo abbigliamento modesto, la semplicità del suo linguaggio aveva detto: “Questo monaco non farà mai di me un eretico!” Ma il coraggio e la fermezza che Lutero aveva dimostrato, uniti alla forza e alla chiarezza del suo ragionamento, sorpresero tutti. L’imperatore, ammirato, esclamò: “Questo monaco parla con cuore intrepido e con coraggio incrollabile”. Molti prìncipi tedeschi osservavano con soddisfazione mista a orgoglio questo rappresentante della loro nazione.
I sostenitori di Roma erano sconfitti perché la loro causa appariva sotto una luce sfavorevole. Essi cercarono di conservare il loro potere non già ricorrendo alle Scritture, ma servendosi delle minacce, che erano l’immancabile argomentazione di Roma. Il portavoce della Dieta disse: “Se non ritratti, l’imperatore e i prìncipi si consulteranno sul comportamento da adottare nei confronti di un eretico incorreggibile”.
Gli amici di Lutero, che avevano ascoltato con gioia la sua nobile difesa, tremarono a queste parole, ma il riformatore stesso replicò con calma: “Che Dio mi aiuti, perché io non posso ritrattare nulla”. Egli fu invitato a ritirarsi, mentre i prìncipi si consultavano. Ognuno si rendeva conto che si era giunti al punto culminante. Il persistente rifiuto di Lutero a sottomettersi avrebbe potuto influire per secoli sulla storia della chiesa. Si decise di dargli un’altra opportunità per ritrattare. Per l’ultima volta Lutero fu chiamato davanti all’assemblea e nuovamente gli venne chiesto se intendesse rinunciare alle sue dottrine. La sua risposta fu: “Io non ho altra risposta se non quella che ho già data”. Era chiaro che non poteva essere indotto a cedere a Roma né con le promesse, né con le minacce.
Gli esponenti di Roma erano molto contrariati nel vedere la loro autorità, che aveva fatto tremare i re e i nobili, schernita da un umile monaco e intendevano fargli provare tutto il peso della loro collera. Lutero, resosi conto del pericolo che lo minacciava, aveva parlato con la dignità e la calma che devono caratterizzare un cristiano. Le sue parole non avevano espresso né orgoglio, né passione né rancore. Perdendo di vista se stesso e i grandi che6 lo circondavano, egli aveva sentito la presenza di colui che è infinitamente superiore a papi, prelati, re e imperatori. Tramite la sua testimonianza Cristo stesso aveva parlato, con potenza e dignità tali che, almeno sul momento, avevano sorpreso e disorientato amici e nemici. Lo Spirito di Dio era stato presente a quel concilio, provocando una profonda impressione nei cuori dei dignitari dell’impero. Vari prìncipi riconobbero la giustizia della causa di Lutero; molti furono convinti della verità ma per alcuni, invece, l’impressione riportata fu di breve durata. Un altro gruppo di persone non espresse subito le proprie convinzioni ma, in un secondo tempo, dopo un attento esame delle Scritture, manifestò con coraggio di sostenere la Riforma.
L’elettore Federico, che aveva atteso con ansia l’apparizione di Lutero davanti alla Dieta, aveva ascoltato con viva emozione il suo discorso e, con gioia mista a orgoglio, era stato spettatore del coraggio, della franchezza e della padronanza di sé dimostrati dal frate e aveva deciso di schierarsi dalla sua parte. Egli non accettò le altre posizioni, consapevole che la sapienza dei papi, dei re e dei prelati era stata sconfitta dalla potenza della verità. Il papato aveva subìto una sconfitta che avrebbe avuto le sue ripercussioni in tutte le nazioni e in tutti i secoli futuri.
Quando il legato si rese conto dell’effetto prodotto dal discorso di Lutero temette, come mai prima, per la sicurezza del potere romano e decise di ricorrere a tutti i mezzi a sua disposizione per eliminare il riformatore. Con l’eloquenza e l’abilità diplomatica che lo distinguevano, egli spiegò al giovane imperatore la follia e il pericolo di sacrificare, per la causa di un insignificante frate, l’amicizia e il sostegno della potente chiesa di Roma.
Le sue parole ottennero l’effetto desiderato. Il giorno dopo il discorso di Lutero, Carlo V fece leggere alla Dieta un messaggio nel quale annunciava ufficialmente la sua decisione di seguire la politica dei suoi predecessori, mantenendo e proteggendo la religione cattolicoromana. Dal momento che Lutero aveva rifiutato di rinunciare ai propri errori, dovevano essere adottate le misure più drastiche contro di lui e contro le sue eresie. “Un frate, sviato dalla propria follia, si è schierato contro la fede della cristianità.
Per estirpare questa eresia io sono pronto a sacrificare i miei regni, i miei tesori, i miei amici, il mio corpo, il mio sangue, la mia anima, la mia vita.
Nel rimandare l’agostiniano Lutero, gli proibisco di provocare nelle masse il benché minimo disordine. Procederò contro di lui e contro i suoi seguaci, considerandoli eretici e avvalendomi della scomunica, dell’interdetto e di ogni altro mezzo che serva a distruggerli. Invito i membri degli stati a comportarsi da fedeli cristiani”. L’imperatore comunque, dichiarò che il salvacondotto di Lutero sarebbe stato rispettato e che prima di procedere contro di lui, si doveva dargli la possibilità di rientrare sano e salvo nella sua residenza.
A questo punto i membri della Dieta espressero pareri discordi: i rappresentanti del papa chiedevano che il salvacondotto del riformatore non fosse rispettato. “Il Reno” dicevano “deve accogliere le sue ceneri, come un secolo fa accolse quelle di Hus”. I prìncipi della Germania, invece, sebbene si fossero schierati in favore del pontefice e si presentassero come nemici dichiarati di Lutero, protestarono contro tale idea, ritenendola un disonore per la nazione. Ricordarono le disgrazie seguite alla morte di Hus e dissero che non osavano attirare sulla Germania e sul loro giovane imperatore quei mali terribili.
Lo stesso Carlo disse: “Anche se l’onore e la fede fossero banditi da tutto il mondo, dovrebbero trovare sempre un posto nel cuore dei prìncipi”. I più accaniti avversari di Lutero insistettero ancora perché Carlo si comportasse, nei suoi confronti, come si era comportato Sigismondo con Jan Hus: abbandonarlo nelle mani della chiesa. L’imperatore, allora, rievocando la scena nella quale Hus davanti alla pubblica assemblea aveva additato le catene che lo imprigionavano e ricordato al monarca la promessa da lui fatta e poi violata affermò: “Io non voglio arrossire come Sigismondo!”28 Carlo V aveva deliberatamente respinto la verità esposta da Lutero.
“Sono fermamente convinto a seguire l’esempio dei miei antenati” scrisse il monarca. Egli non intendeva abbandonare le consuetudini, neppure per seguire la via della verità e della giustizia. Come i suoi predecessori acettava di sostenere il papato nonostante la sua crudeltà e la sua corruzione.
Avendo assunto questa posizione, egli rifiutò di accogliere il messaggio che i suoi padri non avevano ricevuto o di sottomettersi a quei doveri che essi non avevano adempiuto.
Anche oggi molti rimangono fedeli alle abitudini e alle tradizioni dei padri. Quando il Signore invia loro un nuovo messaggio, lo respingono perché i loro antenati, non avendolo conosciuto, ovviamente non l’hanno accettato. Dimenticano che non vivono più ai tempi dei padri ed è chiaro che i loro doveri e le loro responsabilità non sono identici. Non potremo ricevere l’approvazione di Dio se ci atteniamo all’esempio dei nostri progenitori anziché studiare personalmente la Parola di verità per decidere qual è il nostro dovere. La nostra responsabilità è maggiore di quella che avevano i nostri antenati. È una duplice responsabilità perché dobbiamo render conto della conoscenza che essi ci hanno trasmesso e di quella che mediante la Parola di Dio è giunta fino a noi.
Gesù disse degli ebrei increduli: “Se io non fossi venuto, e non avessi lor parlato, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa alcuna del lor peccato”. Giovanni 15:22 (Diodati). Queste stesse parole sono state rivolte da Lutero all’imperatore e ai prìncipi della Germania. Mentre esse risuonavano ancora, lo Spirito Santo, forse per l’ultima volta, rivolgeva un appello diretto8 a molti membri di quell’assemblea. Come Pilato, che molti secoli prima aveva permesso all’orgoglio e all’ambizione di chiudere il suo cuore alle parole del Redentore del mondo; come Felice che tremando aveva detto al messaggero di verità: “…Al presente vattene; ma un’altra volta… io ti manderò a chiamare” (Atti 24:25, Diodati); come Agrippa, che aveva affermato: “…Per poco non mi persuadi a diventar cristiano” (Atti 26:28) e aveva trascurato il messaggio di Dio, così Carlo V, cedendo ai suggerimenti della politica, aveva deciso di respingere il messaggio della verità.
La notizia che sarebbero state adottate drastiche misure nei confronti di Lutero, provocò un vivo fermento in tutta la città. Il riformatore aveva molti amici che, ben sapendo di quali crudeltà fosse capace Roma nei confronti di chi aveva il coraggio di smascherare la sua corruzione, decisero di impegnarsi per salvarlo. Molti nobili fecero il possibile per proteggerlo e alcuni denunciarono il comportamento dell’imperatore che rivelava una chiara sottomissione al potere papale. Sulle porte delle case e nei luoghi pubblici apparvero delle scritte pro e contro Lutero. Una riportava le parole dell’Ecclesiaste: “Guai a te, o paese il cui re è un fanciullo!” Ecclesiaste 10:16. L’entusiasmo popolare in favore di Lutero, diffusosi in tutta la Germania, convinse Carlo e la Dieta che qualsiasi atto di ingiustizia nei confronti del riformatore avrebbe messo in pericolo non solo la pace dell’impero, ma addirittura la stabilità del trono.
Federico di Sassonia, intanto, dimostrava una saggia riservatezza, dissimulando con la massima cura i suoi veri sentimenti nei confronti di Lutero, ma seguiva con attenzione i suoi movimenti e quelli dei suoi nemici. Non mancavano, però, quelli che senza timore manifestavano la loro simpatia per il monaco di Wittenberg, che riceveva visite di prìncipi, conti, baroni e persone di alto lignaggio, laici ed ecclesiastici. “La piccola stanza del dottore” scriveva Spalatino “è insufficiente ad accogliere tutti coloro che vanno a trovarlo”. La gente lo considerava un essere straordinario e perfino quanti non condividevano le sue dottrine non potevano fare a meno di ammirare la sua profonda onestà che lo spingeva a sfidare la morte piuttosto che violare i princìpi della propria coscienza.
Furono fatti seri sforzi per indurre Lutero a un compromesso con Roma.
Nobili e prìncipi gli fecero capire che se avesse continuato a sostenere la superiorità delle proprie opinioni rispetto a quelle della chiesa e dei concili, sarebbe stato bandito dall’impero e avrebbe finito per trovarsi senza difesa.
A questo avvertimento egli rispose: “Il Vangelo del Cristo non può essere predicato senza pericolo… Perché, allora, il timore delle conseguenze dovrebbe separarmi dal Signore e dalla sua Parola? No! Preferisco donare il mio corpo, il mio sangue, la mia vita”. Nuovamente sollecitato a sottomettersi al giudizio dell’imperatore, perché così non avrebbe avuto nulla da temere, Lutero rispose: “Io acconsento con tutto il cuore che l’imperatore, i prìncipi e perfino il più umile dei cristiani esaminino e giudichino le mie opere, ma a condizione che essi prendano come punto di riferimento la Parola di Dio. Gli uomini non devono fare altro che ubbidire ad essa. Non cercate di forzare la mia coscienza: essa è legata, incatenata alle Sacre Scritture”. A un successivo invito, egli rispose: “Accetto a rinunciare al mio salvacondotto, alla mia vita, alla mia persona che rimetto nelle mani dell’imperatore, ma non rinuncio alla Parola di Dio: mai!”33 Egli era disposto a sottoporsi alle decisioni di un concilio, ma solo se si fosse pronunciato secondo la Scrittura. “Per quanto riguarda la Parola di Dio e la fede” diceva “ogni cristiano è un buon giudice quanto il papa, anche se egli è sostenuto da milioni di concili”. Alla fine, amici e nemici si convinsero che ogni tentativo in vista di una riconciliazione sarebbe stato inutile.
Se Lutero avesse ceduto su un solo punto, Satana e le sue schiere avrebbero riportato la vittoria. La sua fermezza incrollabile, perciò, fu strumento di emancipazione per la chiesa, punto di partenza per un’era nuova e migliore.
L’influsso di quest’uomo, che osava pensare e agire da solo in campo religioso, doveva esercitare il suo influsso sulla chiesa e sul mondo non solo nell’arco della sua vita, ma fino alla fine dei tempi. La sua fermezza e la sua fedeltà sarebbero state fonti di incoraggiamento per tutti coloro che avrebbero dovuto affrontare esperienze simili. La potenza e la maestà di Dio prevalsero sulle opinioni degli uomini e sul potere di Satana.
Lutero ricevette l’ordine, da parte delle autorità imperiali, di rientrare in sede. Egli sapeva che a quell’ordine sarebbe presto seguita la sua condanna.
Nubi minacciose si addensavano intorno a lui, ma lasciando Worms il suo cuore era pieno di pace e di gioia: “Il diavolo stesso” diceva “protegge la cittadella del papa ma il Cristo ha aperto una larga breccia e Satana è stato costretto a riconoscere che il Signore è più forte di lui!”35 Dopo la partenza, Lutero, desiderando che la sua fermezza non fosse scambiata per ribellione, scrisse all’imperatore: “Dio, che investiga i cuori, mi è testimone che io sono sinceramente pronto a ubbidire a sua Maestà, nella gloria e nel disonore, in vita e in morte, senza alcuna eccezione se non quella rappresentata dalla Parola di Dio, grazie alla quale l’uomo ha la vita. In tutte le vicende terrene, la mia fedeltà si manifesterà costantemente perché il successo o l’insuccesso non hanno conseguenze sulla salvezza. Quando, invece, sono in gioco gli interessi eterni, Dio non vuole che l’uomo si sottometta all’uomo, in quanto tale sottomissione nella vita spirituale è un vero culto che deve essere reso solo al Creatore”. Lungo il viaggio di ritorno da Worms, Lutero fu accolto ovunque con una cordialità maggiore di quella manifestata nel viaggio di andata. Alti0 prelati diedero il benvenuto al monaco scomunicato e governatori onorarono l’uomo che era stato denunciato dall’imperatore. Invitato a predicare accettò, nonostante il divieto imperiale e salì sul pulpito: “Io non mi sono mai impegnato a far tacere la Parola di Dio” disse “né lo farò”. Aveva appena lasciato Worms, quando i sostenitori del papa riuscirono a strappare all’imperatore un editto contro Lutero. In esso, il riformatore veniva denunciato come “Satana stesso sotto forma di un uomo che indossa il saio da frate”. Quel decreto ordinava che non appena il salvacondotto fosse scaduto, dovevano essere adottate delle disposizioni per interrompere la sua opera. Fu proibito a chiunque di ospitarlo, di procurargli cibi o bevande, di aiutarlo o favorirlo, in pubblico e in privato, con atti o con parole. Ovunque si trovasse, doveva essere catturato e consegnato alle autorità. I suoi seguaci dovevano essere incarcerati e le loro proprietà confiscate. I suoi scritti dovevano essere distrutti e, infine, chiunque avesse osato agire contro questo decreto sarebbe stato sottoposto alla stessa condanna. L’elettore di Sassonia e i prìncipi, amici di Lutero, avevano lasciato Worms poco dopo la partenza del monaco e così il decreto imperiale venne approvato dalla Dieta. I sostenitori di Roma esultavano, ormai certi che le sorti della Riforma fossero decise.
In quel momento difficile, Dio aveva previsto una via di scampo per il suo servitore. Un occhio vigile aveva seguito le mosse di Lutero e un cuore nobile e sincero aveva deciso di soccorrerlo. Era evidente che Roma desiderava la morte del riformatore e l’unico mezzo per sottrarlo alle fauci del leone era farlo sparire. Dio ispirò Federico di Sassonia che con saggezza escogitò un piano efficace per nascondere Lutero e lo attuò grazie all’intervento di amici fidati. Durante il viaggio fu preso, separato da quanti lo accompagnavano e trasportato attraverso la foresta nel castello della Wartburg, una fortezza isolata sulla montagna. Il rapimento e la scomparsa di Lutero furono avvolti da tanto mistero, che per molto tempo lo stesso Federico ignorò dove l’avessero condotto. Tale segretezza, però, non era casuale poiché l’elettore, non conoscendo il suo nascondiglio, non poteva fornire indicazioni di sorta. A lui, del resto, bastava essere certo che Lutero fosse in salvo.
Trascorsero la primavera, l’estate, l’autunno e giunse l’inverno. Lutero era sempre nascosto. Aleandro e i suoi partigiani esultavano perché sembrava che la luce del Vangelo stesse per spegnersi. Ma non era così. Il riformatore stava alimentando la sua lampada, attingendo alla riserva della verità. La verità brillava con maggiore intensità di prima.
Nell’accogliente rifugio della Wartburg Lutero, per un po’ di tempo, si rallegrò di essere lontano dalla confusione e della lotta. Però non si sentiva soddisfatto di quella quiete riposante. Abituato com’era a una vita piena di iniziative, non riusciva a restare inattivo. In quei giorni di solitudine, le condizioni della chiesa gli apparvero in tutta la loro cruda realtà e disperato gridò: “Ahimè, non c’è nessuno in questi ultimi giorni dell’ira di Dio che si innalzi come un muro davanti al Signore e salvi Israele!”39 Poi, pensando a se stesso, temette di essere accusato di viltà per essersi sottratto alla lotta.
Cominciò, allora, a rimproverarsi la propria indolenza mentre, in realtà, ogni giorno faceva più di quanto fosse possibile a un uomo. La sua penna non era mai inoperosa e i suoi nemici, che si rallegravano del suo silenzio, rimasero prima atterriti e poi confusi dalla prova tangibile della sua attività. In tutta la Germania circolavano numerosi opuscoli scritti da lui. Inoltre, egli compì un’opera mirabile traducendo il Nuovo Testamento in lingua tedesca. Dal suo roccioso Patmos, egli continuò per circa un anno a proclamare il messaggio del Vangelo e a condannare i peccati e gli errori del suo tempo.
Se Dio aveva ritirato Lutero dalla vita pubblica, non era solo per proteggerlo dall’ira dei nemici, né per concedergli un periodo di riposo che gli consentisse di svolgere la sua importante opera, ma per ottenere risultati più preziosi. Nella solitudine e nell’oscurità del suo rifugio montano, Lutero non trovò il consenso e l’elogio degli uomini. Non rischiò di cadere vittima dell’orgoglio e della presunzione molto spesso frutto del successo. La sofferenza e l’umiliazione lo prepararono a conservare il suo equilibrio nonostante la notorietà che aveva improvvisamente raggiunto.
Quando gli uomini si rallegrano della libertà che deriva dalla verità, tendono a esaltare i messaggeri di cui Dio si è servito per liberarli dall’errore e dalla superstizione. Satana cerca di distogliere da Dio i pensieri e gli affetti degli uomini e di farli convergere sugli strumenti umani. Li induce a onorare il messaggero e a ignorare chi dirige gli eventi e allora, troppo spesso, i capi religiosi elogiati e riveriti perdono di vista la loro dipendenza dall’Altissimo e finiscono per confidare in se stessi. Essi cercano di dominare le menti e le coscienze di quanti si rivolgono a loro, anziché alla Parola di Dio, per essere guidati. L’opera della riforma è spesso ritardata da questo spirito, incoraggiato dai suoi stessi sostenitori. Dio, però, protesse la Riforma da un pericolo simile, perché voleva che quest’opera portasse la sua impronta e non quella dell’uomo. Gli sguardi degli uomini erano fissi su Lutero; egli disparve perché la gente non guardasse al predicatore della verità, ma al suo Autore.