Capitolo 09 - Il riformatore svizzero
La scelta degli uomini necessari per realizzare la riforma della chiesa, rivela lo stesso principio divino che caratterizzò la sua creazione. Il Maestro trascurò i potenti, i nobili, i ricchi della terra perché erano abituati a ricevere l’omaggio e la lode del popolo. Erano troppo orgogliosi, troppo convinti della loro superiorità per lasciarsi trasformare, simpatizzare con i loro simili e diventare collaboratori del Nazareno. L’invito fu quindi rivolto ai semplici pescatori della Galilea: “…Venite dietro a me, e vi farò pescatori d’uomini”. Matteo 4:19. Essi erano umili, disposti a lasciarsi istruire; non avevano subìto l’influsso dei falsi insegnamenti dei loro contemporanei e Cristo poteva formarli più facilmente per la sua opera. La stessa cosa si verificò al tempo della Riforma. I riformatori più in vista erano uomini di origini modeste, privi di bigottismo e clericalismo.
Rientra nel piano di Dio ricorrere a strumenti umili per compiere grandi cose; in questo modo la gloria non viene attribuita agli uomini, ma a colui che “…
opera in voi il volere e l’operare, per la sua benevolenza”. Filippesi 2:13.
Alcune settimane dopo la nascita di Lutero, in una capanna di minatori della Sassonia, nacque Huldreich Zwingli in una piccola casa di pastori sulle Alpi. L’ambiente in cui trascorse l’infanzia e ricevette la sua prima educazione contribuì notevolmente a prepararlo per la sua futura missione.
Crescendo nel meraviglioso scenario della natura, riconobbe la forza, la grandezza e la maestà di Dio. Il racconto delle eroiche gesta compiute sulle Alpi accese di entusiasmo le sue aspirazioni giovanili. Dalle labbra della nonna imparò alcuni episodi biblici che ella attingeva dalle leggende e dalle tradizioni della chiesa. Con vivo interesse ascoltò la storia dei patriarchi, dei profeti, dei pastori che vegliavano sulle loro greggi fra le colline della Palestina, quando gli angeli apparvero e annunciarono loro la nascita del bambino di Betlemme, dell’uomo del Calvario.
Come per Lutero, il padre di Zwingli desiderava che il figlio acquisisse una buona istruzione e, per questo, fu costretto ben presto a mandarlo lontano dalla valle natia. Il ragazzo, infatti, faceva progressi così rapidi che diventò un vero problema trovare degli insegnanti che lo aiutassero a completare la sua preparazione. Per questo, all’età di tredici anni, Zwingli andò a Berna dove c’era una delle più importanti scuole della Svizzera. Qui, però, si manifestò un pericolo che minacciava di annullare le aspettative riposte in lui: i frati facevano di tutto per indurlo a entrare in convento. Domenicani e francescani erano rivali: cercavano di accaparrarsi il favore popolare e speravano di riuscirvi sia per i magnifici ornamenti delle rispettive chiese, per il fasto delle loro cerimonie, sia per il richiamo esercitato da celebri reliquie e da immagini miracolose.
I domenicani di Berna capirono che se fossero riusciti a ottenere la collaborazione di quel giovane di talento ne avrebbero tratto vantaggio e onore.
La sua giovinezza, la sua abilità innata come oratore e come scrittore, il suo genio per la musica e per la poesia, sarebbero stati più efficaci del fasto e del lusso per attirare la gente e avrebbero ottenuto, così, un maggiore gettito di entrate per il loro ordine. Con inganni e lusinghe fecero di tutto per convincere Zwingli ad accettare la vita monastica. Lutero, quando era ancora studente, si era rinchiuso nella cella di un convento e non avrebbe realizzato la sua missione se Dio non fosse intervenuto per liberarlo. A Zwingli non fu permesso di correre tale pericolo perché suo padre, informato dei progetti dei frati e non desiderando che il suo unico figlio vivesse la vita oziosa e inutile dei monaci, lo fece tornare subito a casa. Si rendeva conto che era in gioco il suo avvenire.
Huldreich, però, non poteva adattarsi a rimanere nella valle natia e andò quindi a Basilea per continuarvi gli studi. Fu qui che, per la prima volta, conobbe il messaggio del Vangelo della grazia gratuita di Dio. Wittenbach, un insegnante di lingue antiche, studiando il greco e l’ebraico era venuto in contatto con le Sacre Scritture e grazie a lui il messaggio della verità penetrava nelle menti dei suoi studenti. Egli dichiarava che c’era una verità più antica e un valore infinitamente superiore a quella rappresentata dalle teorie dei filosofi e degli studiosi. Questa antica verità era che la morte di Cristo è l’unico riscatto del peccatore. Queste parole furono per Zwingli come il primo raggio di luce che precede l’aurora.
Ben presto fu invitato a lasciare Basilea per cominciare quella che doveva essere l’opera della sua vita. Il suo primo incarico fu una parrocchia alpina, non lontano dalla sua valle natia. Consacrato sacerdote, egli si impegnò “con tutta l’anima alla ricerca della verità divina, consapevole” dice un amico riformatore “di ciò che deve sapere chi ha l’incarico di pascere il gregge di Gesù”. Più studiava le Sacre Scritture, più risultava chiaro il contrasto fra la verità e le eresie di Roma. Egli accettava la Bibbia come Parola di Dio, come unica e infallibile regola di vita e si rendeva conto che essa è l’interprete di se stessa. Non osava utilizzare le Scritture per sostenere una dottrina o una teoria preconcetta e riteneva fosse suo dovere accettarne l’insegnamento logico e naturale. Si impegnò per avvalersi di ogni aiuto che potesse garantirgli una completa e corretta conoscenza del significato della Bibbia. Per questo invocava l’aiuto dello Spirito Santo che, diceva, gli avrebbe rivelato tutto ciò che stava cercando di comprendere tramite la preghiera.
“Le Scritture” affermava Zwingli “procedono da Dio, non dall’uomo.
Quello stesso Dio che ti illumina, ti darà la consapevolezza che quelle parole provengono da lui. La Sacra Scrittura… non può sbagliare; essa risplende, insegna, conforta, illumina lo spirito, reca salvezza e grazia, umilia per spingere ad aggrapparsi a Dio”. Zwingli aveva sperimentato personalmente la verità di queste parole. Più tardi, alludendo a quella sua esperienza, scrisse: “Quando… cominciai a dedicarmi completamente alle Sacre Scritture, la filosofia e la teologia divennero per me fonte di problemi. Finalmente giunsi alla conclusione di trascurare tutte quelle menzogne e comprendere il messaggio di Dio, mediante la sua Parola pura e semplice. Fu così che cominciai a chiedere a Dio il suo Spirito e da allora la Scrittura mi apparve molto più facile”. La dottrina insegnata da Zwingli non proveniva da Lutero: era la dottrina del Cristo. “Se Lutero predica il Cristo” diceva il riformatore svizzero “fa quello che faccio io. Coloro che ha condotti al Cristo sono più numerosi di quelli che ho condotto io. Tutto ciò, però, non ha importanza. Io non voglio portare altro nome se non quello di Gesù, del quale sono soldato e che considero come il mio unico capo. Io non ho mai scritto una lettera a Lutero, né egli l’ha scritta a me. Perché?… Perché fosse dimostrata l’unità dello Spirito in lui e in me. Ciascuno di noi insegna la dottrina di Gesù secondo tale unità”. Nel 1516 Zwingli fu nominato predicatore del convento di Einsiedeln.
Qui si rese conto della corruzione di Roma ed ebbe l’opportunità di esercitare un influsso, come riformatore, che si estese al di là delle Alpi. Fra le principali attrattive di Einsiedeln c’era un’immagine della Vergine che, si diceva, avesse la virtù di fare miracoli. Sopra la porta d’ingresso del convento si leggeva: “Qui si può ottenere la remissione plenaria dei peccati”. Il santuario era visitato tutto l’anno, ma era soprattutto in occasione della festa annuale in onore della Vergine che molte persone vi affluivano dalla Svizzera, dalla Francia e dalla Germania. Zwingli, rattristato da tali scene, colse l’opportunità che gli veniva offerta di proclamare a quegli schiavi della superstizione, la libertà mediante il Vangelo.
“Non pensate” egli diceva “che Dio sia in questo tempio più che in ogni altra parte del creato. Qualunque sia il paese in cui vivete, Dio è presente e vi ascolta… Le opere inutili, i lunghi pellegrinaggi, le offerte, le immagini,6 l’invocazione della Vergine e dei santi possono assicurarvi la grazia di Dio?…
Che valore hanno le parole con le quali pronunciamo le nostre preghiere? Che efficacia possono avere un cappuccio luccicante, una testa ben rasata, una veste lunga e pieghettata, delle pantofole ricamate d’oro?… Dio guarda il cuore e i nostri cuori sono lontani da lui. Cristo, che fu offerto una volta sulla croce, è il sacrificio, è la vittima che ha espiato i peccati dei credenti per l’eternità”. Molti accolsero tali dichiarazioni con un certo disagio. Per essi era un’amara delusione udire che il loro viaggio, lungo e faticoso, era stato inutile e non riuscivano a capire che il perdono veniva loro offerto gratuitamente dal Cristo. La via per il cielo, tracciata da Roma, era soddisfacente e non volevano cercare qualcosa di migliore: era più comodo affidare la cura della propria salvezza ai sacerdoti e al papa piuttosto che cercare la purezza del cuore.
C’era però un’altra categoria di persone che accettò con gioia l’annuncio della redenzione nel Cristo. I riti prescritti da Roma non avevano assicurato loro la pace e quindi accettarono con fede che il sangue del Salvatore offrisse loro l’espiazione. Ritornati a casa, questi credenti comunicarono ad altri il messaggio ricevuto e così la verità si diffuse di villaggio in villaggio, di città in città, tanto che a poco a poco il numero dei pellegrini al santuario della Vergine diminuì sensibilmente. Per riflesso, diminuirono anche le offerte e quindi il salario di Zwingli. La cosa, però, lo rallegrò perché gli rivelava che era stato infranto il potere del fanatismo e della superstizione.
Le autorità ecclesiastiche erano al corrente dell’opera di Zwingli, ma si astennero, per il momento, dall’interferire. Speravano di riuscire a riconquistarlo con le lusinghe. Nel frattempo, il messaggio penetrava nel cuore della gente.
L’opera svolta da Zwingli a Einsiedeln lo preparava a una missione più importante. Dopo tre anni egli fu chiamato ad assumere la carica di predicatore nella cattedrale di Zurigo, la più importante città della confederazione elvetica e qui la portata del suo influsso sarebbe stata più ampia. Gli ecclesiastici che lo avevano invitato a raggiungere Zurigo desideravano impedire ogni innovazione e precisarono a Zwingli quali sarebbero stati i suoi doveri.
“Lei farà tutto il possibile” gli dissero “per raccogliere le entrate del capitolo senza trascurarne alcuna, per minima che sia. Esorterà i fedeli, dal pulpito e dal confessionale, a versare decime e offerte per dimostrare il loro amore per la chiesa. Sarà diligente nell’incrementare le entrate che provengono dai malati, dalle messe e da ogni altro rito ecclesiastico. Per quanto riguarda la somministrazione dei sacramenti, la predicazione e la cura delle anime” aggiunsero i suoi istruttori “sono cose che rientrano nei doveri del cappellano; lei, però, può servirsi di un sostituto, soprattutto per la predicazione. Dovrà amministrare i sacramenti solo a persone di riguardo e unicamente quando è direttamente invitato a farlo. Le è proibito farlo indiscriminatamente”. Zwingli ascoltò in silenzio il mandato che gli veniva conferito e quindi, dopo avere espresso la sua gratitudine per l’onore che gli derivava da una carica così importante, spiegò la linea di condotta che intendeva seguire. “La vita di Gesù è rimasta troppo a lungo nascosta al popolo.
Io predicherò soprattutto l’intero vangelo di Matteo… attingendo unicamente alla fonte della Sacra Scrittura, sondandola, confrontando passo con passo, cercando la conoscenza mediante preghiere ferventi e costanti. Il mio ministero sarà alla gloria di Dio, alla lode del suo Figlio unigenito, per la salvezza degli uomini e per l’insegnamento della vera fede”. Sebbene alcuni degli ecclesiastici disapprovassero questo piano e si sforzassero di dissuaderlo dal seguirlo, Zwingli rimase fermo, dicendo che non intendeva affatto introdurre un nuovo metodo, ma solo attuare quello vecchio, tipico della chiesa dei primi tempi, i tempi della sua purezza.
Le verità da lui insegnate suscitarono vivo interesse. La gente affluì in massa alle sue predicazioni. Vi parteciparono perfino molti che da tempo si erano allontanati dalla chiesa. Zwingli cominciò il suo ministero aprendo il Vangelo, leggendo e spiegando ai suoi uditori il racconto ispirato della vita, della dottrina e della morte di Gesù. Qui, come a Einsiedeln, egli presentò la Parola di Dio come unica e infallibile autorità e la morte del Cristo come unico sacrificio. “Desidero condurvi al Cristo” diceva “unica fonte di salvezza”. Gente di ogni ceto si accalcava intorno al predicatore: uomini di stato, scienziati, artigiani, contadini. Tutti ascoltavano con profondo interesse le sue parole. Non solo proclamava la salvezza gratuita, ma condannava senza timore i mali e la corruzione del tempo. Molti ritornavano dalla cattedrale glorificando Dio. “Quest’uomo” dicevano “è un predicatore della verità.
Egli sarà il nostro Mosè per liberarci dalle tenebre dell’Egitto”. All’entusiasmo dei primi momenti seguì un periodo di opposizione. I monaci si misero a ostacolare la sua opera e a condannarne gli insegnamenti.
Molti lo schernivano e lo beffavano, mentre altri non esitavano a offenderlo e minacciarlo. Zwingli sopportava pazientemente e diceva: “Se vogliamo conquistare gli empi al Cristo, dobbiamo chiudere gli occhi su molte cose”. In quel periodo un nuovo collaboratore venne ad accelerare l’opera di riforma. Un certo Luciano fu inviato a Zurigo con alcuni scritti di Lutero.
Un amico della fede riformata, abitante a Basilea, pensando che la vendita di questi libri potesse essere un mezzo potente per la diffusione del messaggio scrisse a Zwingli: “Assicurati se quest’uomo possiede prudenza e capacità sufficienti. In caso affermativo, lascia che diffonda le opere di Lutero, specialmente la sua esposizione della preghiera del Signore scritta per i laici, di città in città, di villaggio in villaggio e di casa in casa. Più esse saranno conosciute, più sostenitori troveranno”. Così si diffuse il messaggio.
Quando Dio si impegna ad abbattere le barriere dell’ignoranza e della superstizione, Satana agisce con rinnovata energia per avvolgere gli uomini nelle tenebre e per stringere ancor di più i loro ceppi. Nel momento in cui, in varie parti del paese, alcuni uomini annunciavano al popolo il perdono e la giustificazione mediante il sangue di Gesù, Roma raddoppiava i suoi sforzi per aprire il suo mercato delle indulgenze in tutto il mondo cristiano, offrendo il perdono in cambio di denaro.
Ogni peccato aveva la sua tariffa e così veniva accordata agli uomini la possibilità di peccare, purché il tesoro della chiesa fosse ben alimentato. I due movimenti avanzavano: uno offriva il perdono dei peccati mediante il denaro e l’altro tramite il Cristo. Roma permetteva il peccato e lo trasformava in una fonte di guadagno; i riformatori lo condannavano e presentavano il Cristo mediatore e liberatore.
In Germania la vendita delle indulgenze era stata affidata ai domenicani, guidati da Tetzel. In Svizzera il traffico fu delegato ai francescani, sotto la guida di Sansone, monaco italiano. Sansone aveva servito utilmente la chiesa raccogliendo in Germania e in Svizzera ingenti somme per il tesoro pontificio. Ora egli percorreva la Svizzera richiamando immense folle, privando i poveri contadini dei loro magri guadagni ed esigendo dai ricchi doni più cospicui. L’influsso della Riforma intanto si faceva sentire arginando, senza poterle impedire, quelle speculazioni. Zwingli era ancora a Einsiedeln quando Sansone giunse in una città vicina. Conoscendo lo scopo della sua missione, il riformatore si affrettò a ostacolarla. I due non s’incontrarono, ma il successo conseguito da Zwingli nell’esporre l’assurdità delle pretese del frate fu tale che egli fu costretto ad abbandonare la regione e trasferirsi altrove.
A Zurigo, Zwingli predicò con tanto fervore contro il perdono a pagamento, che quando Sansone si avvicinò alla città, un messaggero del governo locale lo invitò a non fermarsi. Sansone, con uno stratagemma, riuscì a entrare in città, ma non poté vendere neppure un’indulgenza e poco dopo abbandonò la Svizzera.
La Riforma ricevette un forte impulso dalla peste, conosciuta con il nome di “morte nera”, piaga che colpì la Svizzera nel 1519. Gli uomini, confrontandosi con la morte, in molti casi si sentivano indotti a considerare la vanità e la futilità del perdono che avevano acquistato e desideravano avere una maggiore certezza per la loro fede. A Zurigo, Zwingli fu colpito così gravemente dal morbo che si temette per la sua vita; anzi si sparse addirittura la voce che egli fosse morto. In quel momento così tragico, la sua speranza e il suo coraggio rimasero saldi. Contemplando con fede la croce del Calvario, era certo che il sacrificio del Cristo fosse sufficiente per la salvezza. Quando si ristabilì, riprese a predicare il Vangelo con più fervore e potenza di prima. La gente accolse con gioia il caro pastore sfuggito alla morte. Ognuno sentiva, dopo la tragica esperienza della peste, il grande valore del Vangelo.
Zwingli aveva compreso chiaramente le verità evangeliche e ne aveva sperimentato la loro potenza rigeneratrice. La caduta dell’uomo e il piano della redenzione erano i suoi temi favoriti. “In Adamo” diceva “siamo tutti morti, immersi nella corruzione, condannati”. “Il Cristo… ci ha assicurato la redenzione… La sua passione… è un sacrificio di portata eterna, pienamente efficace in vista della salvezza; esso soddisfa, per sempre, la giustizia divina in favore di quanti confidano in essa con fede salda e incrollabile”. Egli insegnava che l’uomo non deve pensare che la grazia di Dio lo autorizzi a peccare. “Ovunque c’è fede, c’è Dio e dove c’è Dio, c’è lo zelo che spinge gli uomini alle buone opere”. L’interesse per la predicazione di Zwingli era tale che la cattedrale era affollata da persone che andavano ad ascoltarlo. A poco a poco, nella misura in cui gli uditori potevano assimilarla, egli spiegava loro la verità. Con tatto e delicatezza, Zwingli evitava di presentare subito quei punti che potevano creare dei pregiudizi. La sua opera consisteva nel conquistare i cuori agli insegnamenti del Cristo, nel renderli sensibili al suo amore e nel presentare loro il suo esempio. Una volta che essi avessero compreso e accettato i princìpi del Vangelo, avrebbero abbandonato deliberatamente sia le credenze sia i riti superstiziosi.
A poco a poco a Zurigo l’opera della Riforma progredì. I suoi nemici allarmati si sforzarono di opporvisi in modo attivo. Un anno prima, il monaco di Wittenberg aveva pronunciato il suo “No!” al papa e all’imperatore a Worms e ora tutto sembrava indicare che Zurigo avrebbe assunto una posizione analoga nei confronti delle pretese papali. Altri attacchi furono diretti a Zwingli.
Nei cantoni cattolici di tanto in tanto venivano arsi sul rogo i discepoli del Vangelo. Questo, però, non era sufficiente: bisognava ridurre al silenzio chi insegnava l’eresia. Il vescovo di Costanza inviò tre suoi delegati al concilio di Zurigo per accusare Zwingli di insegnare alla gente a trasgredire le leggi della chiesa e mettere così in pericolo la pace e l’ordine sociali. “Rifiutare l’autorità della chiesa” diceva il vescovo “significa aprire la porta all’anarchia universale”. Zwingli replicò che aveva insegnato il Vangelo per quattro anni a Zurigo e che questa città “era la più quieta e la più pacifica dell’intera confederazione elvetica. Quindi” concludeva “non vi pare che il cristianesimo sia la migliore salvaguardia per la sicurezza pubblica?”14 I delegati avevano esortato i membri del concilio a non abbandonare la chiesa, al di fuori della quale, essi dichiaravano, non vi era salvezza. Zwingli rispose: “Non vi fate turbare da questa esortazione. Il fondamento della chiesa è questa Roccia, Gesù, che diede a Pietro il suo nome perché egli lo confessasse fedelmente. In ogni nazione, chiunque crede con tutto il cuore0 nel Signore Gesù Cristo, è accettato a Dio. È questa la chiesa fuori dalla quale nessuno può essere salvato”. Come risultato di questo incontro, uno dei delegati del vescovo abbracciò la fede riformata.
Il concilio respinse l’invito a procedere contro Zwingli. Roma, allora, si preparò per un nuovo attacco. Zwingli, essendo venuto a conoscenza del complotto che i suoi nemici ordivano, esclamò: “Lasciateli pure venire; io li temo come la roccia teme i marosi che si infrangono spumeggianti ai suoi piedi”. Gli sforzi dei prelati valsero solo a sviluppare maggiormente l’opera che essi cercavano di abbattere. La verità continuò a diffondersi. I riformati, in Germania, scoraggiati per la scomparsa di Lutero, si rianimarono vedendo i progressi del Vangelo in Svizzera.
Nella misura in cui la Riforma si stava affermando a Zurigo, i risultati apparivano evidenti: il vizio cedeva il posto all’ordine e alla concordia. “La pace ha scelto la nostra città come suo domicilio” scriveva Zwingli “non più contese, ipocrisie, invidie, contestazioni. Quale può essere l’origine di tutto questo se non il Signore e la nostra dottrina che ci riempie di frutti di pace e di pietà?”17 Il successo della Riforma spinse i sostenitori di Roma a impegnarsi maggiormente per fermarla. Vedendo che i risultati conseguiti erano piuttosto scarsi e la persecuzione non aveva garantito dei risultati nei confronti dell’opera di Lutero in Germania, decisero di combattere la Riforma con le sue stesse armi. Pensarono, cioè, di organizzare una discussione con Zwingli. Per essere certi della vittoria, si riservarono la scelta del luogo e dei giudici. Se fossero riusciti ad avere Zwingli nelle loro mani avrebbero fatto il possibile per non lasciarselo sfuggire, perché ritenevano che una volta messo a tacere il capo, l’attività del movimento si sarebbe rapidamente fermata.
Naturalmente, questo complotto fu tenuto accuratamente segreto.
La disputa doveva aver luogo a Baden ma Zwingli non vi partecipò. Il concilio di Zurigo, sospettando un tranello dei rappresentanti di Roma e consapevole che nei cantoni papali venivano accesi i roghi per i testimoni del Vangelo, proibì al suo pastore di esporsi al pericolo. A Zurigo egli avrebbe potuto benissimo affrontare gli esponenti di Roma, ma recarsi a Baden, dove il sangue dei martiri della verità era stato sparso recentemente, significava andare incontro a morte sicura. Ecolampadio e Haller furono scelti come rappresentanti dei riformati, mentre il celebre dottor Eck, portavoce di Roma, era sostenuto da uno stuolo di dotti e di prelati.
Sebbene Zwingli non fosse presente, il suo influsso si fece ugualmente sentire. I segretari erano stati scelti fra i nemici della Riforma e nessuno, a parte loro, poteva prendere appunti, pena la morte. Nonostante ciò, Zwingli riceveva ogni giorno un esatto resoconto di quanto veniva detto a Baden.
Uno studente, che assisteva alla disputa, stendeva ogni sera una relazione sugli argomenti trattati. Tale relazione, accompagnata da una lettera di Ecolampadio, era consegnata ad altri due studenti che provvedevano a recapitare tutto a Zwingli, che rispondeva dando consigli e suggerimenti. Egli scriveva di notte e gli studenti consegnavano la sua risposta la mattina seguente a Baden. Per eludere la vigilanza delle guardie che stazionavano alle porte della città, quei messaggeri portavano sulla testa dei canestri contenenti del pollame. Questo permetteva loro di passare senza difficoltà.
Fu così che Zwingli riuscì a lottare contro gli astuti antagonisti. Miconio disse: “Egli ha lavorato di più con le sue meditazioni, le sue notti insonni e i suoi consigli che mandava a Baden, di quanto non avrebbe fatto discutendo personalmente con i suoi nemici”. I sostenitori del papa, certi del trionfo, erano andati a Baden con ricche vesti e gioielli. Trattati regalmente, sedevano davanti a tavole riccamente imbandite di cibi ricercati e di vini prelibati. La responsabilità dei loro doveri ecclesiastici era alleviata da piacevoli feste. In stridente contrasto con tanto lusso, i riformatori erano considerati poco più che mendicanti o asceti per i loro pasti frugali. L’albergatore di Ecolampadio, che lo spiava dalla sua stanza, lo vedeva sempre intento allo studio o alla preghiera. Pieno di stupore, dichiarò che quell’eretico era, perlomeno “molto devoto”.
Al concilio “Eck salì con ostentazione su un pulpito splendidamente decorato, mentre Ecolampadio, vestito modestamente, fu fatto sedere su uno sgabello di legno, di fronte al suo antagonista”. La voce risonante di Eck, la sua baldanzosa sicurezza non produssero alcun effetto su Ecolampadio. Lo zelo di Eck era stimolato dal miraggio delle ricchezze e degli onori in quanto, nella sua qualità di difensore della fede, egli avrebbe ricevuto una grande ricompensa. Quando gli mancavano gli argomenti non esitava a ricorrere agli insulti e alle imprecazioni.
Ecolampadio, timido e modesto per natura, aveva esitato a lungo prima di decidersi ad affrontare la discussione. Quando iniziò fece questa solenne dichiarazione: “Io riconosco come regola di fede soltanto la Parola di Dio”.
20Dolce e moderato, egli si rivelò anche colto e irremovibile. Mentre i rappresentanti di Roma ricorrevano spesso all’autorità della chiesa e alle sue consuetudini, egli si atteneva saldamente alle Sacre Scritture. “L’usanza” diceva “non ha valore nella nostra Svizzera a meno che essa non sia in armonia con la costituzione. Ora, in materia di fede, la nostra costituzione è la Bibbia”. Il contrasto fra i due antagonisti non mancò di produrre i suoi effetti. La calma, la semplicità, la serenità di Ecolampadio, come pure la chiarezza della sua argomentazione, colpirono i presenti che, invece, ascoltavano con evidente disagio le orgogliose affermazioni di Eck.
La discussione durò diciotto giorni e alla fine i sostenitori del papa si attribuirono baldanzosamente la vittoria. Poiché la maggior parte dei delegati erano favorevoli a Roma, il concilio dichiarò sconfitti i riformati e decretò che2 essi, insieme con Zwingli, loro capo, fossero espulsi dalla chiesa. I risultati di questo incontro, rivelarono chi avesse ragione. La disputa, infatti, valse a sviluppare ancor più l’opera protestante e non molto tempo dopo città importanti, come Berna e Basilea, si dichiararono favorevoli alla Riforma.