Capitolo 1 – La distruzione di Gerusalemme – Parte 02/02

Per circa quarant’anni, a partire dal momento in cui Gesù pronunciò la sua profezia su Gerusalemme, il Signore ritardò il suo castigo sopra la città e sopra la nazione. Meravigliosa fu la pazienza di Dio nei confronti di quanti avevano respinto il suo messaggio e condannato a morte il suo Figlio. La parabola del fico sterile rappresentava il comportamento dell’Altissimo nei confronti del popolo d’Israele. Era stato dato l’ordine: “…taglialo; perché sta lì a rendere improduttivo anche il terreno?” Luca 13:7. Eppure la misericordia divina aveva atteso a lungo. Molti fra gli ebrei ignoravano ancora il carattere e l’opera del Cristo. I figli non avevano avuto l’opportunità di ricevere il messaggio che era stato disprezzato dai genitori. Dio voleva che la luce risplendesse su di loro tramite la predicazione degli apostoli e dei loro collaboratori. In tal modo essi avrebbero avuto l’occasione di constatare l’adempimento della profezia non solo nella nascita e nella vita di Gesù, ma anche nella sua morte e nella sua risurrezione. I figli non erano condannati per le colpe dei padri; ma una volta conosciuto il messaggio, se l’avessero respinto, sarebbero diventati anch’essi partecipi dei peccati dei genitori e, così, avrebbero fatto traboccare il calice con la loro malvagità.

La grande pazienza di Dio nei confronti di Gerusalemme valse solo a rafforzare l’ostinazione degli ebrei. Provando odio e crudeltà per i discepoli di Gesù, essi respinsero l’ultima offerta della misericordia divina. Allora Dio non li protesse più e li abbandonò nelle mani di Satana e dei suoi angeli e la nazione venne a trovarsi sotto il controllo dei capi che si era scelti. Avendo disprezzato il dono della grazia di Gesù, che avrebbe permesso loro di resistere al male, gli impulsi finirono con l’avere il sopravvento. Satana, allora, eccitò le più brutali e vili passioni dell’animo. Gli uomini non ragionavano più: agivano mossi dall’impulso e da un’ira cieca e violenta, con una crudeltà satanica. Nella famiglia e nella società, sia nelle classi elevate sia in quelle più povere, nascevano il sospetto, l’invidia, l’odio, la contesa, la ribellione e il crimine. Non c’era sicurezza in nessun posto: amici e parenti si tradivano a vicenda; i figli uccidevano i genitori e i genitori i figli. I capi del popolo non riuscivano più a controllarsi e le passioni, non più domate, li rendevano tirannici. Gli ebrei avevano accettato la falsa testimonianza per condannare l’innocente Figlio di Dio e ora le false accuse mettevano in pericolo la loro stessa vita. Con il loro comportamento avevano ripetutamente detto: “Toglieteci d’innanzi agli occhi il Santo d’Israele!” (Isaia 30:11) e il loro desiderio ora veniva appagato. Avevano perso il rispetto per Dio. Satana guidava la nazione e le supreme autorità civili e religiose erano sotto il suo dominio.

I capi delle opposte fazioni talvolta si alleavano per depredare e torturare le loro povere vittime; quindi si scagliavano gli uni contro gli altri e si uccidevano senza pietà. Perfino la santità del tempio non riusciva a frenare la loro ferocia. Gli adoratori venivano trucidati davanti all’altare e il28 santuario era contaminato dai cadaveri degli uccisi. Eppure, nella loro ciecae blasfema presunzione, gli istigatori di simili crudeltà dichiaravano pubblicamentedi non temere nulla: Gerusalemme non sarebbe stata distrutta, perchéera la città di Dio. Per consolidare con maggiore forza la loro autorità, essipagarono dei falsi profeti affinché proclamassero, perfino quando le legioniromane assediavano il tempio, che il popolo doveva aspettarsi la liberazioneda parte di Dio. Alla fine, intere folle giunsero a credere che l’Altissimosarebbe intervenuto per distruggere i loro avversari. Ma Israele, purtroppo,aveva disprezzato la protezione divina e ora si ritrovava senza difesa. PoveraGerusalemme! Straziata dalle lotte intestine, vedeva il sangue dei suoi figli,che si uccidevano a vicenda, scorrere per le strade, mentre gli eserciti nemicidistruggevano le sue fortificazioni e facevano strage dei suoi soldati.

Tutte le profezie di Gesù, relative alla distruzione di Gerusalemme, si avveraronoalla lettera e gli ebrei riconobbero l’esattezza delle parole di avvertimento:“Con la misura onde misurate, sarà misurato a voi”. Matteo 7:2.

Segni e prodigi apparvero come presagi di disastri e desolazione. In pienanotte una luce irreale risplendeva sul tempio e sull’altare. Sulle nubi, al tramonto,si videro i carri e i soldati schierati in battaglia. I sacerdoti che di notteofficiavano nel tempio rimasero terrorizzati da rumori misteriosi: la terra tremavae delle voci gridavano: “Andiamo via di qui!” La grande porta orientale,così pesante che con fatica poteva essere chiusa da una ventina di uominie che era assicurata da pesanti sbarre di ferro infisse nelle pietre del pavimento,si aprì a mezzanotte senza l’intervento di nessuno.

Per sette anni un uomo aveva percorso le strade di Gerusalemme annunciandotutto ciò che stava per abbattersi sulla città. Giorno e notte aveva ripetuto:“Una voce dall’oriente! Una voce dall’occidente! Una voce dai quattroventi! Una voce contro Gerusalemme e contro il tempio! Una voce contro glisposi e contro le spose! Una voce contro il popolo!”2 Arrestato e picchiato,non emise un solo lamento. Agli insulti e alle percosse, rispose: “Guai, guai a Gerusalemme! Guai ai suoi abitanti!” Il suo grido di avvertimento si spensesolo quando egli morì nel corso dell’assedio da lui predetto.

Nella distruzione di Gerusalemme non morì neppure un cristiano.Gesù lo aveva predetto ai suoi discepoli e così tutti coloro che credetteronelle sue parole tennero conto del segno preannunciato: “Quando vedreteGerusalemme circondata d’eserciti” aveva detto Gesù “sappiate allora chela sua desolazione è vicina. Allora quelli che sono in Giudea, fuggano aimonti; e quelli che sono nella città, se ne partano”. Luca 21:20, 21. Dopoche i romani, agli ordini di Cestio, avevano circondato la città, inaspettatamenteinterruppero l’assedio, proprio quando tutto sembrava favorevolea un attacco definitivo. Gli assediati che pensavano di non poter più resistere,erano sul punto di arrendersi quando il generale romano fece ritirare le sue truppe, senza nessun motivo apparente. Era la misericordia di Dio che dirigeva le cose per il bene dei suoi figli. Il segno preannunciato era stato offerto ai cristiani in attesa ed essi ebbero l’opportunità di seguire l’avvertimento del Salvatore. Le cose andarono in modo tale che né gli ebrei, né i romani ostacolarono minimamente la fuga dei cristiani. Gli ebrei si lanciarono all’inseguimento delle forze romane in ritirata e così, mentre gli opposti eserciti erano impegnati in una mischia furibonda, i cristiani poterono abbandonare la città. In quel momento l’intera regione era priva di nemici che, altrimenti, avrebbero cercato di intervenire per ostacolarli. Inoltre, durante l’assedio gli ebrei erano riuniti a Gerusalemme per la celebrazione della festa dei Tabernacoli e questo permise ai cristiani dell’intera zona di andarsene indisturbati. Essi fuggirono verso un luogo sicuro: la cittadina di Pella, nella Perea, oltre il Giordano.

L’esercito d’Israele, lanciato all’inseguimento di Cestio e delle sue truppe, piombò sui romani con un tale impeto da minacciarne la distruzione totale. Fu con grande difficoltà che i romani riuscirono a sottrarsi all’assalto ritirandosi. Gli ebrei non ebbero quasi nessuna perdita e rientrarono a Gerusalemme da trionfatori, portando i trofei della loro vittoria. Questo apparente successo, però, fu negativo perché ispirò loro una resistenza così ostinata ai romani che rapidamente si ritorse sulla città che venne votata alla distruzione.

Quando l’assedio fu ripreso da Tito si abbatterono su Gerusalemme terribili calamità. La città fu assediata al tempo della Pasqua, quando milioni di ebrei erano riuniti dentro le sue mura. Le scorte di viveri che, se accuratamente gestite, sarebbero potute durare per anni, erano state distrutte a causa di gelosie e rappresaglie degli opposti partiti e per questo tutti furono costretti a sperimentare la tragedia della fame. Una misura di frumento si vendeva per un talento. I morsi della fame erano così forti che gli uomini rosicchiavano il cuoio delle cinture, dei sandali e perfino degli scudi. Di notte, molti uscivano dalla città per andare a raccogliere le erbe selvatiche che crescevano fuori dalle mura. In questo modo molti ebrei furono fatti prigionieri e uccisi dopo atroci torture. Spesso accadeva che quanti ritornavano da queste spedizioni notturne venivano aggrediti dai propri concittadini e depredati del frutto della loro rischiosa impresa. Le torture più inumane furono inflitte da chi stava al potere per costringere a consegnare le modeste riserve di viveri che qualcuno era riuscito a nascondere. Non di rado queste crudeltà erano perpetrate da uomini ben nutriti che volevano unicamente accumulare delle provviste per il futuro.

Migliaia furono i morti per fame o per epidemie. I legami affettivi sembravano aver perso valore: i mariti derubavano le mogli e le mogli i mariti; i figli, a loro volta, arrivavano perfino a strappare il cibo dalla bocca dei genitori anziani. La domanda del profeta: “Una donna dimentica ella il bimbo30 che allatta?” trovava una risposta all’ombra delle mura della città. “Delledonne… hanno con le lor mani fatto cuocere i loro bambini, che han servitoloro di cibo, nella ruina della figliuola del mio popolo”. Isaia 49:15; cfr.Lamentazioni 4:10. Si adempiva di nuovo la profezia pronunciata quattordicisecoli prima: “La donna più delicata e più molle tra voi, che per mollezzae delicatezza non si sarebbe attentata a posare la pianta del piede in terra,guarderà di mal occhio il marito che le riposa sul seno, il suo figliuolo e la suafigliuola, per non dar loro nulla… de’ figliuoli che metterà al mondo, perché,mancando di tutto, se ne ciberà di nascosto, in mezzo all’assedio e alla penuriaalla quale i nemici t’avranno ridotto in tutte le tue città”. Deuteronomio28:56, 57.

I capi romani cercarono di terrorizzare gli ebrei per costringerli alla resa.I prigionieri che resistevano venivano percossi, torturati e crocifissi sotto lemura della città. Ogni giorno, tali esecuzioni si contavano a centinaia. Si continuòcosì fino a quando, lungo la valle di Giosafat e sul Calvario ci furono cosìtante croci che non c’era quasi più spazio per passarvi in mezzo. Si adempivacosì, e in modo spaventoso, l’affermazione pronunciata dal popolo davanti aPilato: “Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figliuoli”. Matteo 27:25.

Tito, sconvolto alla vista di tutti quei cadaveri che giacevano nella vallataintorno a Gerusalemme, avrebbe volentieri evitato tali orrori e risparmiatoalla città una sorte così crudele. Dall’alto del monte degli Ulivi egli contemplòestatico il tempio meraviglioso e ordinò ai suoi uomini che non ne fossetoccata neppure una pietra. Prima di dare inizio all’attacco di quella fortezza,Tito rivolse un ultimo invito ai capi ebrei, perché essi non lo costringesseroa contaminare con il sangue quel luogo sacro. Se essi fossero usciti di là, percombattere, nessun romano avrebbe violato la santità del tempio. Lo stessoGiuseppe Flavio, con un eloquente appello esortò gli ebrei alla resa e li invitòa salvarsi e a salvare la città e il luogo sacro di culto. In risposta ottenne soltantoamare imprecazioni e una pioggia di frecce che cercarono di colpirequell’ultimo mediatore umano. Gli ebrei avevano respinto le esortazioni delFiglio di Dio e ora ogni altro invito non faceva che accrescere in loro la convinzionea resistere fino all’ultimo. Vani furono pertanto gli sforzi di Titoper salvare il tempio. Qualcuno più grande di lui aveva dichiarato che nonsarebbe rimasta pietra sopra pietra.

La cieca ostinazione dei capi ebrei e i tremendi crimini perpetrati nellacittà assediata, suscitarono l’orrore e l’indignazione dei romani. Tito, alla fine,decise di prendere d’assalto il tempio intenzionato, probabilmente, a salvaguardarlodalla distruzione. I suoi ordini, però, non furono rispettati. Dopoche, calata la notte, si era ritirato nella sua tenda, gli ebrei uscirono dal tempioper attaccare i soldati romani. Nella foga della lotta, un soldato gettò unatorcia accesa attraverso un’apertura del portico e immediatamente le stanze adiacenti al tempio, rivestite di legno di cedro, si incendiarono. Tito si precipitò sul posto, seguito dai suoi generali e dai legionari e ordinò ai soldati di spegnere l’incendio. Le sue parole non furono ascoltate. Nel loro furore i soldati si precipitarono all’interno del cortile sacro e passarono a fil di spada quanti si erano rifugiati nelle stanze attigue. Il sangue scorreva a fiotti, scendendo dai gradini. Gli ebrei morivano a migliaia. Al di sopra del fragore della battaglia si udirono delle voci gridare: “Icabod!”, cioè la gloria se n’è andata!

“Tito non riuscì a frenare l’ira dei suoi uomini. Entrato nel tempio in compagnia degli ufficiali, osservò l’interno dell’edificio sacro e rimase colpito dal suo splendore. Siccome le fiamme non avevano ancora raggiunto il luogo santo, Tito fece un ultimo tentativo per salvarlo, invitando i soldati ad arrestare il progredire dell’incendio. Il centurione Liberalis cercò di imporre l’ubbidienza, assecondato dagli altri ufficiali, ma fu tutto inutile: il rispetto per l’imperatore non riuscì a frenare la rabbia nei confronti degli ebrei, l’eccitazione della battaglia e la sete di saccheggio. I soldati vedevano ovunque il luccichio dell’oro, reso ancor più scintillante dal bagliore delle fiamme e pensavano che nel santuario fossero accumulate incalcolabili ricchezze. Un soldato, senza essere visto da nessuno, gettò una torcia accesa attraverso una porta scardinata e in un baleno l’intera costruzione si incendiò. Il fumo accecante e denso costrinse gli ufficiali a ritirarsi e così il maestoso tempio fu abbandonato alla sua sorte.

Se per i romani uno spettacolo simile era spaventoso, immaginate che cosa potesse rappresentare per gli ebrei! La cima del colle che dominava la città sembrava il cratere di un vulcano. Gli edifici crollavano l’uno dopo l’altro con un fragore spaventoso ed erano inghiottiti dalla voragine ardente. I tetti di cedro sembravano altrettante lingue di fuoco; i pinnacoli scintillavano, simili a fasci di luce rossa; le torri emettevano lunghe volute di fumo e di fiamme. Le colline circostanti la città erano illuminate a giorno, mentre gruppi di persone contemplavano sgomente i progressi della devastazione. Le mura e le parti più elevate della città brulicavano di volti, alcuni pallidi per l’angoscia della disperazione, altri animati da un’inutile sete di vendetta. Le grida dei soldati romani che fuggivano e il lamento degli insorti che morivano fra le fiamme, si univano al fragore della conflagrazione e al rombo delle grosse travi che crollavano. Gli echi dei monti rimandavano e ripetevano le grida disperate della popolazione. Ovunque, le mura risuonavano di gemiti e di lamenti: uomini che morivano di fame, raccoglievano le loro ultime forze per emettere un estremo grido di angoscia e di desolazione.

La strage che avveniva all’interno era più spaventosa dello spettacolo esterno. Uomini e donne, vecchi e giovani, insorti e sacerdoti, chi combatteva e chi implorava pietà, venivano trucidati in una indiscriminata carneficina. Siccome, il numero degli uccisi era superiore a quello degli uccisori,32 i legionari romani per portare a termine la loro opera di sterminio furonocostretti a calpestare mucchi di cadaveri”.

Dopo la distruzione del tempio, l’intera città cadde nelle mani dei romani.I capi ebrei avevano abbandonato le torri inespugnabili e Tito, nel trovarledeserte, le contemplò con meraviglia e dichiarò che era stato Dio a darglielenelle mani, poiché nessun congegno bellico, per potente che fosse, avrebbepotuto determinare la conquista di quelle superbe fortificazioni. Città e tempiofurono rasi al suolo e la terra sulla quale sorgeva il tempio fu “arata comeun campo”. Geremia 26:18. Nell’assedio e nella strage che ne seguì perironooltre un milione di persone. I sopravvissuti furono fatti prigionieri, venduticome schiavi, condotti a Roma per formare il corteo trionfale del conquistatore,offerti in pasto alle belve negli anfiteatri, dispersi come miseri pellegrinisenza casa e senza tetto per tutta la terra.

Gli ebrei avevano forgiato le propri catene: avevano, cioè, colmato ilcalice dell’ira. La distruzione della loro nazione e tutte le disgrazie che seguironoalla loro dispersione rappresentano il frutto di ciò che avevano seminato.Dice il profeta: “È la tua perdizione, o Israele… tu sei caduto per la tuainiquità”. Osea 13:9; Osea 14:1. Le sofferenze d’Israele sono spesso presentatecome un castigo che si è abbattuto sulla nazione in seguito a undecreto divino. È in questo modo che il grande seduttore cerca di nasconderela sua opera. Rifiutando ostinatamente l’amore e la misericordia di Dio, gliebrei avevano perso la protezione divina. Satana avrebbe potuto dominarlisecondo la sua volontà. Le inaudite crudeltà verificatesi in occasione della distruzione di Gerusalemme sono la dimostrazione del modo in cui Satanatratta coloro che si sottomettono a lui.

Forse, non ci rendiamo conto di quanto dobbiamo essere grati al Signoreper la pace e la protezione di cui godiamo. È la potenza di Dio che preserval’umanità affinché non cada completamente nelle mani di Satana. Idisubbidienti e gli ingrati devono essere anch’essi riconoscenti all’Eterno perla misericordia e la pazienza che dimostra limitando il potere del grandenemico. Quando gli uomini superano i limiti della divina pazienza, egli lipriva della sua protezione. Dio non esegue la sentenza che segue la trasgressione:egli abbandona a se stessi coloro che respingono la sua grazia ecosì essi finiscono per raccogliere quanto hanno seminato. Ogni messaggiorespinto, ogni avvertimento disprezzato o non preso in considerazione, ognipassione accarezzata, ogni trasgressione della legge di Dio rappresentanoaltrettanti semi sparsi, che inevitabilmente porteranno frutto. Lo Spirito diDio alla fine abbandona il peccatore che, in tal modo, è controllato dalle suepassioni e rimane senza protezione contro le astuzie e la malvagità di Satana.La distruzione di Gerusalemme è un avvertimento tragico e solenne per tutticoloro che non prendono in considerazione la grazia divina e resistono agli inviti della misericordia di Dio. Non era mai stata data una dimostrazione più chiara dell’odio di Dio per il peccato e dell’inevitabile punizione che si sarebbe abbattuta sul colpevole.

La profezia del Salvatore, relativa al castigo di Gerusalemme, avrà un secondo adempimento, di cui quella terribile devastazione è solo un pallido esempio. Nella sorte della città eletta, noi possiamo vedere la condanna di un mondo che ha rifiutato la misericordia di Dio e ha disprezzato la sua legge. Quanto sono tragici i resoconti della miseria umana di cui è stata testimone la terra nel corso di lunghi secoli di malvagità. Il cuore freme e lo spirito è turbato di fronte a questa situazione. Sono terribili le conseguenze del rifiuto dell’autorità divina. Eppure, le rivelazioni relative al futuro offrono un quadro ancora più oscuro. La storia del passato — una serie di sommosse, conflitti, sconvolgimenti, guerre in cui “…ogni calzatura… ogni mantello avvoltolato nel sangue, saran dati alle fiamme” (Isaia 9:4) — non è nulla rispetto al terrore che si proverà nel gran giorno in cui lo Spirito di Dio si allontanerà e non frenerà la manifestazione delle passioni umane e della rabbia del diavolo. Allora il mondo vedrà, come mai prima, i risultati del regno di Satana.

In quel giorno, come accadde al tempo della distruzione di Gerusalemme, il popolo di Dio sarà salvato; “chiunque… sarà iscritto tra i vivi”. Isaia 4:3. Il Cristo dichiarò che sarebbe ritornato per riunire intorno a sé gli eletti: “E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba a radunare i suoi eletti dai quattro venti, dall’un capo all’altro de’ cieli”. Matteo 24:31. Coloro che, invece, non avranno ubbidito al messaggio del Vangelo saranno distrutti con il soffio “della sua bocca” e annientati “con l’apparizione della sua venuta”. 2 Tessalonicesi 2:8. Come nell’antico Israele, i malvagi distruggeranno se stessi e saranno vittime del male. La loro vita di peccato li ha talmente allontanati da Dio e la loro natura è stata talmente degradata dal male che la manifestazione della gloria divina è per loro “come un fuoco consumante”.

Gli uomini devono fare attenzione a non trascurare gli insegnamenti trasmessi dalle parole di Gesù. Così come avvertì i suoi discepoli della distruzione di Gerusalemme, dando loro dei segni relativi a quegli avvenimenti affinché potessero mettersi in salvo, ha avvertito anche il mondo della distruzione finale e ha fornito i segni premonitori affinché chiunque possa sottrarsi al giudizio. Gesù ha detto: “E vi saranno de’ segni nel sole, nella luna e nelle stelle; e sulla terra, angoscia delle nazioni”. Luca 21:25; cfr. Matteo 24:29; Marco 13:24-26; Apocalisse 6:12-17. Coloro che individuano i segni della sua venuta sanno che egli “è vicino, proprio alle porte”. Matteo 24:33. Egli esorta: “Vegliate dunque perché non sapete quando viene il padron di casa…” Marco 13:35. Chi ascolta questo avvertimento non sarà confuso e quel giorno non lo troverà impreparato. Per chi, invece, non veglia, quel giorno verrà per lui “come viene un ladro nella notte”. Cfr. 1 Tessalonicesi 5:2-5.34 

Il mondo, oggi, non è pronto a ricevere questo messaggio più diquanto lo fossero gli ebrei ad ascoltare l’avvertimento del Messia relativo a Gerusalemme. Per i malvagi il giorno di Dio sopraggiungerà inatteso. Mentrela vita prosegue il suo corso abituale; mentre gli uomini sono assorbiti daipiacere, dagli affari, dall’amore per il denaro; mentre i capi religiosi esaltanoi progressi e la scienza del mondo; mentre la gente si culla in una falsa sicurezza,allora, come un ladro che in piena notte ruba nelle case incustodite,un’inattesa e improvvisa distruzione si abbatterà sui malvagi e sugli indifferentie “non scamperanno affatto”. 1 Tessalonicesi 5:3.