Capitolo 12 - La riforma in Francia - Parte 02

Alcuni mesi più tardi egli si ritrovò a Parigi dove regnava un’insolita agitazione nel mondo dei dotti e dei letterati. Lo studio delle lingue antiche aveva richiamato l’attenzione sulla Bibbia e molti, il cui cuore non era stato toccato dalla grazia, discutevano animatamente sulla verità entrando in polemica perfino con i maggiori esponenti del cattolicesimo. Calvino, sebbene fosse abile nelle controversie religiose, doveva compiere una missione più LA importante di quella che interessava quei polemici esponenti della scolastica. Gli spiriti erano scossi ed era giunto il momento adatto per presentare la verità. Mentre le aule universitarie echeggiavano dei clamori delle dispute teologiche, Calvino andava di casa in casa spiegando le Scritture e parlando del Cristo crocifisso.
Per la grazia di Dio Parigi doveva ricevere un nuovo invito ad accettare il messaggio del Vangelo. L’appello di Lefèvre e Farel era stato respinto, ma il messaggio doveva essere ancora predicato nella capitale e rivolto a ogni ceto. Il re, in seguito a considerazioni di carattere politico, non si era ancora pienamente schierato con Roma contro la Riforma. Sua sorella, la principessa Margherita, che nutriva sempre la speranza di vedere il protestantesimo trionfare in Francia, volle che la fede riformata venisse predicata a Parigi. In assenza del re, ella diede ordine a un pastore protestante di predicare nelle chiese della città. La cosa non fu permessa dalle autorità ecclesiastiche e la principessa, allora, fece aprire le porte del palazzo reale. Un appartamento venne adibito a cappella e fu annunciato che ogni giorno a una certa ora sarebbe stato predicato un sermone al quale tutti erano invitati, senza alcuna distinzione di ceto. Una vera folla partecipò alla riunione; non solo la cappella, ma anche le anticamere e i vestiboli erano pieni di gente.
Ogni giorno affluivano migliaia di persone: nobili, uomini di stato, avvocati, mercanti, artigiani. Il re, anziché proibire questi incontri, diede ordine che fossero aperte due chiese a Parigi. Mai prima di allora la città era stata così scossa dalla Parola di Dio. Lo Spirito di vita sembrava aleggiare sul popolo.
La temperanza, la purezza, l’ordine e l’attività prendevano il posto dell’ubriachezza, della licenziosità, dei tumulti e dell’ozio.
Le autorità ecclesiastiche, però, non rimasero inattive. Poiché il re non voleva intervenire per mettere fine alla predicazione, esse fecero leva sul popolo. Nessun mezzo fu risparmiato per suscitare timori, pregiudizi e fanatismo fra quelle masse ignoranti e superstiziose. Ciecamente sottomessa ai suoi falsi dottori Parigi, come l’antica Gerusalemme, non conobbe il tempo del suo giudizio, né le cose che appartenevano alla sua pace. Cfr. Isaia 29:6; Luca 19:42. Nella capitale, la Parola di Dio fu predicata per due anni. Molti accettarono il messaggio del Vangelo, ma la maggior parte del popolo lo respinse. Francesco I si era dimostrato tollerante solo per scopi politici e così il clero riuscì a esercitare nuovamente su di lui il suo ascendente, con il risultato che le chiese vennero chiuse e il patibolo nuovamente innalzato.
Calvino era ancora a Parigi dove, pur continuando a predicare, si preparava all’attività futura mediante lo studio, la meditazione e la preghiera.
Segnalato alle autorità ecclesiastiche fu condannato al rogo. Ritenendosi sicuro nel suo rifugio, ignorava il pericolo che lo minacciava. Se ne rese conto solo quando i suoi amici accorsero nella sua stanza per avvertirlo che2 la polizia stava venendo ad arrestarlo. Proprio in quel momento si udì bussare vigorosamente al portone di casa. Non c’era tempo da perdere. Mentre alcuni amici cercavano di intrattenere gli agenti alla porta, altri aiutarono il riformatore a calarsi dalla finestra. Calvino si diresse rapidamente verso i sobborghi della città, entrò in casa di un operaio amico della Riforma, si fece dare un vestito, si mise una gerla sulle spalle e proseguì la sua fuga verso sud dove trovò rifugio negli stati della principessa Margherita di Navarra. Grazie alla protezione di amici potenti, egli vi rimase alcuni mesi consacrandosi come prima allo studio. Il suo cuore, però, era ormai legato all’evangelizzazione della Francia e non rimase a lungo inattivo. Non appena la tempesta si fu un po’ calmata, Calvino cercò un nuovo campo di lavoro a Poitiers dove c’era un’università e dove le nuove idee erano state accolte favorevolmente. Gente di ogni ceto ascoltava con gioia il messaggio del Vangelo.
Non disponendo di un luogo pubblico per la predicazione, Calvino esponeva le parole di vita eterna a quanti desideravano ascoltarle, o in casa del magistrato della città o in casa propria o in un giardino pubblico. In seguito al costante aumento del numero degli uditori, si pensò fosse più prudente riunirsi fuori città. Una caverna, situata sul fianco di una gola stretta e profonda, nascosta da alberi e da rocce, fu scelta come luogo di incontro. La gente usciva dalla città a piccoli gruppi e, seguendo vie diverse, si riuniva in quel luogo, dove veniva letta e spiegata la Parola di Dio. I protestanti francesi celebrarono per la prima volta la Santa Cena proprio in quella grotta. Da quella piccola chiesa uscirono molti evangelisti fedeli. Ancora una volta Calvino ritornò a Parigi, perché non poteva rinunciare alla speranza di vedere la Francia accettare la Riforma. Purtroppo trovò quasi tutte le porte chiuse, poiché insegnare il Vangelo significava imboccare la via che conduceva direttamente al rogo. Allora decise di recarsi in Germania. Aveva appena lasciato la patria che la tempesta si abbatté sui protestanti francesi. Se fosse rimasto, quasi sicuramente sarebbe morto nella strage generale.
I riformati francesi, ansiosi di vedere il loro paese procedere di pari passo con la Germania e con la Svizzera, avevano deciso di assestare un colpo violento alle superstizioni di Roma e di scuotere in tal modo l’intera nazione.
Una notte, in tutta la Francia, vennero affissi dei cartelli che attaccavano la messa. Questo gesto inconsulto, invece di contribuire al progresso della Riforma, risultò dannoso non solo a chi lo aveva ideato, ma anche agli amici della Riforma in tutto il paese. Esso fornì ai cattolici il pretesto per chiedere la totale distruzione degli eretici, considerati pericolosi per la stabilità del trono e per la pace della nazione.
Una mano ignota, quella di un amico imprudente o di un perfido nemico, non si poté mai appurare, attaccò uno di questi cartelli sulla porta della camera del re. Il monarca ne rimase inorridito: quel foglio attaccava violentemente LA un rito venerato da secoli. L’incredibile foglio con cui si era osato introdurre quelle dichiarazioni offensive addirittura nell’intimità della casa reale, suscitò l’ira del sovrano. Nella sua costernazione, rimase muto per un attimo, fremente di collera, quindi pronunciò le terribili parole: “Siano presi tutti indistintamente coloro che sono sospetti di luteresia. Voglio sterminarli tutti!”20 Il dado era tratto! Il re aveva deciso: si era schierato dalla parte di Roma! Furono prese immediatamente delle disposizioni per l’arresto di ogni luterano di Parigi. Un povero artigiano, aderente alla fede riformata, che si era preso l’incarico di convocare i credenti alle assemblee segrete, fu obbligato — sotto la minaccia di morte sul rogo — di accompagnare l’emissario del papa nelle case di tutti i protestanti della città. A quella terribile richiesta egli fremette di orrore, ma alla fine il timore del rogo ebbe il sopravvento e accettò di tradire i suoi fratelli. Preceduto dall’ostia, circondato da uno stuolo di preti, di portatori d’incenso, di frati e di soldati, Morin, poliziotto reale, accompagnato dal traditore, percorse lentamente e in silenzio le vie di Parigi. Ostentatamente, la manifestazione era in onore del “santo sacramento”, come atto di espiazione per l’offesa recata dai protestanti alla messa.
Questo pretesto, però, celava un proposito omicida. Giunto davanti alla casa di un luterano, il traditore faceva un segno. La processione si fermava e gli abitanti di quella casa venivano incatenati. Dopo di che il corteo riprendeva il suo cammino verso altre vittime. “Non risparmiarono nessuna abitazione, piccola o grande che fosse e neppure i collegi dell’università di Parigi… Morin faceva tremare tutta la città… Era il regno del terrore”. Le vittime furono messe a morte dopo crudeli torture, in quanto era stato dato ordine che il fuoco fosse mantenuto basso per prolungare l’agonia. Esse, però, morirono eroicamente: la loro fermezza rimase inalterata e la loro pace non fu scossa. I persecutori, incapaci di vincere quell’inflessibile costanza, si sentirono sconfitti. “I patiboli erano stati disseminati per tutti i quartieri di Parigi e i condannati venivano arsi in giorni successivi nell’intento di seminare maggiormente il terrore dell’eresia. Eppure, alla fine, l’ultima parola rimase al Vangelo perché tutti ebbero modo di vedere che tipo di persone condividevano le nuove opinioni. Non c’era pulpito paragonabile al rogo dei martiri. La serena gioia che illuminava i loro volti mentre si avviavano…
al luogo del supplizio, il loro eroismo mentre erano in mezzo alle fiamme divampanti, il loro perdono per le ingiurie subite valsero in molti casi a trasformare l’ira in pietà, l’odio in amore e a parlare con irresistibile eloquenza in favore del Vangelo”. I sacerdoti, per esasperare l’opinione pubblica, facevano circolare terribili calunnie contro i protestanti, i quali venivano accusati di complottare il massacro dei cattolici, di voler rovesciare il governo e perfino uccidere il re. Nessuna prova, seppure minima, poteva essere addotta a sostegno di tali4 affermazioni; ma quelle profezie di sventura si sarebbero adempiute, sia pure in circostanze diverse e per cause di ben altra natura. Le crudeltà subite da protestanti innocenti da parte dei cattolici accumularono purtroppo quelle tensioni che alcuni secoli dopo provocarono la tragedia che era stata predetta come imminente e che travolse il re, il governo e i sudditi. Essa fu provocata dagli atei e, in qualche modo, dagli stessi cattolici. Non fu la vittoria del protestantesimo, ma la sua soppressione che trecento anni più tardi doveva attirare sulla Francia quelle calamità.
Il sospetto, la sfiducia, il terrore pervasero tutte le classi sociali. In mezzo all’allarme generale si notò quale profonda presa avesse avuto l’insegnamento luterano sulle menti di uomini che si distinguevano sia per cultura che per prestigio, oltre che per eccellenza di carattere. All’improvviso rimasero vuoti posti di fiducia e di responsabilità, perché scomparvero artigiani, tipografi, studiosi, professori di università e uomini di corte. A centinaia erano fuggiti da Parigi scegliendo la via dell’esilio e rivelando di essere favorevoli alla fede riformata. I cattolici erano sorpresi di avere avuto in mezzo a loro, senza saperlo, degli eretici. La loro ira si sfogò su vittime meno illustri che erano cadute nelle loro mani. Le prigioni erano affollate e l’aria sembrava oscurata dal fumo dei roghi accesi per i testimoni del Vangelo.
Francesco I si era gloriato di essere uno dei sostenitori del grande movimento di risveglio culturale che aveva segnato l’inizio del XVI secolo e si era compiaciuto di accogliere a corte letterati di ogni paese. Al suo amore per la cultura e al suo disprezzo per l’ignoranza e la superstizione dei frati era dovuta, almeno in parte, la sua tolleranza nei confronti della Riforma. In lui, però, si era acceso lo zelo contro l’eresia e questo “paladino del sapere” emanò un decreto che aboliva la stampa in tutta la Francia. Francesco I ci offre uno dei tanti esempi che rivelano come la cultura intellettuale non sia una salvaguardia contro l’intolleranza religiosa e la persecuzione.
La Francia, con una solenne cerimonia pubblica, si schierava definitivamente contro il protestantesimo. I sacerdoti chiedevano che l’affronto subìto in seguito agli attacchi diretti alla messa, fosse lavato con il sangue e che il re, in nome del popolo, annunciasse pubblicamente questa barbara iniziativa.
Il rito fu fissato per il 21 gennaio 1535. Il timore superstizioso e l’odio fanatico di tutta la nazione erano stati sollecitati e Parigi quel giorno era affollata da tantissime persone provenienti dalle località vicine. La giornata sarebbe stata inaugurata con un’imponente processione. “Le case situate lungo il percorso seguito dal corteo erano ornate di drappi a lutto, mentre qua e là per le vie sorgevano degli altari”. Davanti a ogni porta c’era una torcia accesa in onore del santo sacramento. Il corteo si formò al palazzo reale, allo spuntare del giorno. “Prima venivano le bandiere e le croci delle varie parrocchie, poi i cittadini a due a due con delle torce in mano”. Seguivano LA i quattro ordini dei frati, ognuno con il suo saio caratteristico, poi un’imponente collezione di famose reliquie e subito dopo una schiera di alti prelati, ammantati di abiti color porpora e scarlatto, adorni di gioielli scintillanti.
“L’ostia era portata dal vescovo di Parigi sotto un magnifico baldacchino…
sorretto da quattro prìncipi… Dopo l’ostia vi era il re, a piedi… Francesco I quel giorno non portava la corona, né l’abito regale. A capo scoperto, con gli occhi bassi, con in mano un cero acceso, il re di Francia appariva come un penitente”. Egli si prostrava davanti a ogni altare, non per i propri vizi, non per il sangue innocente che macchiava le sue mani, ma per il grave peccato che i suoi sudditi avevano commesso condannando la messa. Dopo di lui venivano la regina e i dignitari della nazione, anch’essi a due a due, con in mano una torcia accesa.
Il programma di quel giorno comprendeva anche un discorso del sovrano rivolto ai grandi dignitari dello stato, pronunciato nella grande sala del palazzo vescovile. Il re si presentò con il volto abbattuto e, con parole di commossa eloquenza, deplorò “il delitto, la bestemmia, il giorno di obbrobrio e di dolore” che si erano abbattuti sulla nazione. In seguito rivolse un vibrante appello a ogni suddito fedele perché si impegnasse a estirpare l’eresia che minacciava la rovina del paese. “Signori” egli disse “com’è vero che io sono il vostro re, se io sapessi che uno degli organi del mio corpo è macchiato e infettato da questa detestabile corruzione, vi inviterei a reciderlo…
Dirò di più: se io sapessi che uno dei miei figli è contaminato da essa, non lo risparmierei… ve lo consegnerei lo stesso perché venga sacrificato a Dio”.