Capitolo 19 - Luce nelle tenebre - Parte 02

Dopo la risurrezione, Gesù apparve ai discepoli sulla via di Emmaus “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo concernevano”. Luca 24:27. I cuori dei due discepoli rimasero scossi e la loro fede fu ravvivata. Si sentirono “rinascere… ad una speranza viva”, prima ancora che Gesù si fosse fatto riconoscere. Il Maestro volle illuminare la loro mente e aiutarli a fondare la loro fede sulla parola profetica. Voleva che la verità si radicasse profondamente in loro non solo perché sostenuta dalla sua testimonianza personale, ma perché convalidata dai simboli della legge cerimoniale e dalle precise dichiarazioni profetiche dell’Antico Testamento. Era necessario che i discepoli di Gesù avessero una fede vera, non solo per se stessi ma per trasmettere al mondo la conoscenza del Cristo. Gesù richiamò l’attenzione dei discepoli su Mosè e sui profeti. Questa6 fu la testimonianza del Salvatore risorto sul valore e sull’importanza delle Scritture dell’Antico Testamento.
Contemplando l’amato volto del Maestro, nel cuore dei discepoli avvenne un profondo cambiamento. Cfr. Luca 24:32. Essi riconobbero, da un punto di vista più completo e perfetto di prima, “Colui del quale hanno scritto Mosè ed i profeti”. In tal modo l’incertezza, l’angoscia e la disperazione furono sostituite da una serena fiducia e una fede senza dubbi. Non c’è da stupirsi se dopo la sua ascensione essi “erano del continuo nel tempio, benedicendo Iddio”. Luca 24:53. La gente, che conosceva solo la storia della terribile morte del Nazareno, si aspettava di leggere sul volto dei discepoli un’espressione di dolore, di confusione e di sconfitta; invece li vide illuminati dalla gioia e dal trionfo. Essi avevano affrontato la prova più dolorosa che si possa immaginare e avevano ricevuto una speciale preparazione per l’opera che li aspettava. Inoltre, avevano potuto rendersi conto che anche se da un punto di vista umano tutto sembrava perduto, in realtà la Parola di Dio si sarebbe adempiuta gloriosamente. Da ora in poi nulla avrebbe potuto scuotere la loro fede o estinguere l’ardore del loro amore. Nei momenti più difficili, essi erano stati consolati dalla speranza, che è “àncora dell’anima, sicura e ferma…” Ebrei 6:19. Testimoni della saggezza e della potenza di Dio, essi erano convinti che “…né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potestà, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura…” li avrebbero potuti separare “dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”. Romani 8:38, 39. “…In tutte queste cose” essi dicevano “noi siam più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati”.
Romani 8:37. “…La Parola del Signore permane in eterno”. 1 Pietro 1:25.
“Chi sarà quel che ci condanni? Cristo Gesù è quel che è morto; e, più che questo, è risuscitato; ed è alla destra di Dio; ed anche intercede per noi”.
Romani 8:34.
Dice il Signore: “…il mio popolo non sarà mai più coperto d’onta”. Gioele 2:26. “…La sera alberga da noi il pianto; ma la mattina viene il giubilo”. Salmi 30:5. Il giorno della risurrezione, quando i discepoli rividero il Salvatore ascoltarono con trasporto le sue parole; quando contemplarono il capo, le mani, i piedi feriti per loro; quando, più tardi, Gesù li condusse fino a Betania e alzando le mani li benedisse e dichiarò: “…Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo ad ogni creatura” (Marco 16:15), “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:20); quando dieci giorni più tardi il Consolatore scese su di loro e li rivestì della potenza divina, assicurandoli della presenza di Gesù; allora, neppure il sacrificio e il martirio li avrebbero spinti a cambiare la missione della proclamazione del Vangelo e la corona di giustizia loro riservata con il trono terrestre che avevano desiderato all’inizio del loro apostolato. “Colui che può… fare infinitamente al di là di quel che domandiamo o pensiamo” aveva loro concesso, insieme con la comunione delle sue sofferenze, la comunione della sua gioia: gioia di portare “molti figli alla gloria”. Davanti a questa prospettiva, come giustamente asserisce Paolo, “la nostra momentanea, leggera afflizione” non può essere paragonata al “peso eterno di gloria” che è in serbo per i fedeli.
L’esperienza dei discepoli, che predicarono il Vangelo del regno in occasione del primo avvento del Cristo è sullo stesso piano dell’esperienza di coloro che proclamarono il messaggio del suo secondo avvento. Gli apostoli annunciavano: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”. Miller e i suoi collaboratori predicavano che il più lungo periodo profetico, indicato nella Bibbia, stava per concludersi, che il giudizio era imminente e che stava per essere inaugurato il regno eterno. L’annuncio dei discepoli, relativo al tempo della fine si basava sulla profezia delle 70 settimane di Daniele 9.
Il messaggio di Miller annunciava la fine dei 2.300 giorni di Daniele 8:14, dei quali facevano parte le 70 settimane. In entrambi i casi la predicazione si basava sull’adempimento di due diverse parti dello stesso grande periodo profetico.
Come i primi discepoli, Miller e i suoi collaboratori non compresero completamente la portata di quanto annunciavano. Gli errori, che da tempo si erano insinuati nella chiesa, impedivano loro di giungere all’esatta interpretazione di un importante elemento della profezia. Quindi, pur proclamando il messaggio che Dio aveva loro affidato, a causa di una idea errata circa il suo significato, sperimentarono un’amara delusione.
Spiegando Daniele 8:14: “…Fino a duemila trecento sere e mattine: poi il santuario sarà purificato” Miller, adottando il concetto generalmente accettato secondo cui la terra è il santuario, credeva si trattasse della purificazione della terra mediante il fuoco del Signore, al momento dell’avvento.
Quindi, resosi conto che la profezia indicava con esattezza il punto di arrivo dei 2.300 giorni, ne concluse che essa coincideva con l’epoca del secondo avvento di Gesù. Tale errore va attribuito al fatto che Miller si adeguò alla convinzione popolare relativa al santuario.
Nel sistema cerimoniale, che prefigurava il sacrificio e il sacerdozio del Cristo, la purificazione del santuario era l’ultima cerimonia celebrata dal sommo sacerdote a conclusione del ministero dell’intero anno. Era l’opera finale di espiazione: la rimozione dei peccati d’Israele, prefigurazione dell’opera conclusiva del ministero del nostro Sommo Sacerdote celeste, che vedrà la cancellazione dei peccati del suo popolo registrati nei libri del cielo. Questo servizio, che comporta l’istruzione di un giudizio, precede immediatamente la seconda venuta del Cristo sopra le nuvole del cielo con potenza e gran gloria. Alla sua venuta, infatti, ogni caso sarà già stato deciso. Gesù afferma: “…
il mio premio è meco per rendere a ciascuno secondo che sarà l’opera sua”.
Apocalisse 22:12. Quest’opera di giudizio che precede il secondo avvento è annunciata dal messaggio del primo angelo: “…Temete Iddio e dategli gloria poiché l’ora del suo giudizio è venuta…” Apocalisse 14:7.
Coloro che proclamarono questo messaggio, lo fecero al momento giusto. Però, come i discepoli, annunciavano “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”, basandosi sulla profezia di Daniele 9, senza rendersi conto che in quello stesso brano biblico era anche predetta la morte del Messia.
Così, Miller e i suoi collaboratori, predicarono il messaggio basato su Daniele 8:14 e Apocalisse 14:7, senza accorgersi che in Apocalisse 14 vi erano anche altri messaggi che dovevano essere trasmessi al mondo prima del ritorno del Signore. Come i discepoli si ingannarono sulla natura del regno che doveva essere stabilito alla fine delle 70 settimane, così gli avventisti si ingannarono sull’evento che si sarebbe dovuto verificare alla fine dei 2.300 giorni.
In entrambi i casi si trattò dell’adesione a idee popolari errate che purtroppo travisavano il senso della profezia. Sia i discepoli sia gli avventisti, adempirono la volontà di Dio annunciando il messaggio che egli voleva fosse predicato. Comunque, sia i primi sia i secondi, a causa dell’errata interpretazione, subirono un’amara delusione.
Dio realizzò ugualmente l’obiettivo che si era prefisso in quanto l’annuncio del giudizio fu dato integralmente. Il gran giorno era imminente e, nella sua provvidenza, Dio fece in modo che gli uomini fossero avvertiti e messi in condizione di analizzare il proprio stato spirituale. Il messaggio doveva contribuire alla purificazione dei credenti, che si sarebbero resi conto se erano legati al mondo o al Cristo e al cielo. Siccome affermavano di amare il Salvatore, veniva loro offerta l’opportunità di dimostrare la vera essenza dei propri sentimenti. Erano pronti a rinunciare alle speranze e alle ambizioni terrene per accogliere con gioia l’avvento del Signore? Il messaggio permetteva di rendersi conto del loro stato spirituale e Dio, nella sua misericordia, voleva che fosse proclamato proprio per suscitare in loro la volontà di cercare il Signore con spirito di umiliazione e pentimento.
La delusione, anche se frutto dell’errata interpretazione del messaggio annunciato, contribuì sostanzialmente al loro bene, perché servì a mettere alla prova coloro che avevano affermato di accettare l’avvertimento divino.
Confrontandosi con la delusione avrebbero rinunciato alla loro fede, non fidandosi più della Parola di Dio, oppure avrebbero cercato in preghiera e con umiltà di stabilire la causa dell’errata interpretazione della profezia? Quanti avevano agito per paura, per impulsività e per eccitazione? Quanti erano solo in parte convinti e increduli? Molti dicevano di desiderare il ritorno del Signore, ma quando sarebbero stati chiamati ad affrontare lo scherno e il disprezzo degli uomini, ad assaporare l’amarezza del ritardo e dell’errata interpretazione, avrebbero saputo conservare la fede? Non avendo capito subito il piano di Dio, avrebbero forse rinunciato alle verità convalidate dalle chiare testimonianze della Parola ispirata? Questa prova sarebbe valsa a rivelare la forza di coloro che con vera fede avevano ubbidito a quello che consideravano l’insegnamento della Sacra Scrittura e dello Spirito di Dio. Essa, inoltre, avrebbe insegnato loro, come solo un’esperienza simile poteva farlo, il pericolo a cui si va incontro accettando teorie e interpretazioni umane anziché utilizzando la Bibbia come interprete di se stessa. Per i credenti motivati dalla fede, le angosce e le sofferenze derivanti da questo errore costituivano la necessaria correzione. Infatti, avrebbero esaminato con maggior attenzione il fondamento della loro fede e respinto tutto ciò che, anche se generalmente accettato dal mondo cristiano, non trovava nessun appoggio nella Sacra Scrittura.
A questi credenti, come già ai primi discepoli, quello che nell’ora della prova appariva oscuro, in seguito sarebbe apparso chiaro. Vedendo “la fine” che il Signore avrebbe loro accordato, si sarebbero resi conto che nonostante la prova, conseguenza dell’errore commesso, i piani divini dettati dal suo amore per loro si sarebbero adempiuti. Avrebbero anche imparato, tramite quell’esperienza, che egli è “grandemente pietoso e misericordioso” e che tutte le sue vie sono “verità e misericordia per quanti osservano il suo patto e le sue testimonianze”.