Capitolo 20 - Un grande risveglio religioso- Parte 01

La profezia del primo angelo di Apocalisse 14, annuncia un grande risveglio religioso provocato dalla proclamazione del prossimo avvento di Gesù. Un angelo vola “in mezzo al cielo” e annuncia “l’evangelo eterno ad ogni nazione e tribù e lingua e popolo… con gran voce”. Egli dice: “Temete Iddio e dategli gloria poiché l’ora del suo giudizio è venuta; e adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra e il mare e le fonti delle acque”. Apocalisse 14:6, 7.
Il fatto che un angelo sia il messaggero di questo invito è significativo.
Con la purezza, la gloria e la potenza di un messaggero celeste, la divina provvidenza ha voluto mettere in risalto l’elevato carattere dell’opera che deve essere compiuta da questo messaggio, nonché la potenza e la gloria che lo devono distinguere. Il volo dell’angelo “in mezzo al cielo”, la “gran voce” con la quale l’annuncio è dato a tutti quelli che abitano sulla terra, “ad ogni nazione e tribù e lingua e popolo”, indicano la rapidità e l’universalità del movimento.
L’annuncio contiene anche l’indicazione dell’epoca in cui questo movimento doveva manifestarsi. Infatti è detto che esso fa parte dell’“evangelo eterno” e che annuncia l’inizio del giudizio. Il messaggio della salvezza è stato predicato in tutti i tempi, ma questo annuncio fa parte del Vangelo che deve essere annunciato solo negli ultimi giorni, in quanto solo allora può essere vero che l’ora del giudizio è giunta. Le profezie presentano una successione di eventi che portano all’apertura del giudizio. È il caso del libro di Daniele.
Il profeta fu invitato a sigillare fino al tempo della fine la parte della profezia riguardante gli ultimi giorni. È ovvio che un messaggio relativo al giudizio poteva essere proclamato solo quando fosse giunto il tempo della fine; tanto più che proprio allora, secondo quanto si legge in Daniele 12:4: “…molti lo studieranno con cura, e la conoscenza aumenterà”.
L’apostolo Paolo avvertì la chiesa di non aspettarsi l’avvento del Cristo in quell’epoca. “…Quel giorno non verrà” scrisse “se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato…” 2 Tessalonicesi 2:3. La venuta del Signore poteva essere attesa solo dopo la grande apostasia e il lungo periodo del regno dell’ “uomo del peccato”. Questo “uomo del peccato” detto anche “figliuolo della perdizione”, “mistero dell’iniquità”, rappresenta il potere papale che, secondo la profezia, doveva esercitare la sua autorità per 1.260 anni, fino al 1798. La venuta di Gesù, perciò, non poteva avvenire prima di questa data. Paolo, nel suo avvertimento, si riferisce all’intera era cristiana fino al 1798. Dopo questa data doveva essere proclamato il messaggio del ritorno del Cristo.
Nessun messaggio come questo era mai stato annunciato nei secoli passati. Paolo, come abbiamo già visto, lo proclamava; egli indicava ai fratelli la venuta del Signore ma come un avvenimento lontano, di un futuro lontano. I riformatori non lo proclamavano. Martin Lutero, ad esempio, diceva che il giudizio sarebbe avvenuto fra circa trecento anni. Ma a partire dal 1798 il libro di Daniele fu riscoperto, la conoscenza delle profezie aumentò e molti cominciarono ad annunciare il solenne messaggio dell’imminenza del giudizio.
Come la grande Riforma del XVI secolo, così il movimento avventista apparve contemporaneamente in vari paesi cristiani. Sia in Europa che in America, uomini di fede e di preghiera furono indotti allo studio delle profezie. Esaminando i testi sacri si convinsero che la fine di ogni cosa era vicina.
In vari paesi ci furono gruppi di credenti isolati che, tramite il semplice studio delle Sacre Scritture, giunsero alla conclusione che l’avvento del Signore era vicino.
Nel 1821, tre anni dopo che Miller era giunto alla conclusione che le profezie indicavano il tempo del giudizio, Joseph Wolff, “missionario del mondo”, cominciò a proclamare l’imminenza del ritorno del Signore. Wolff era nato in Germania da famiglia israelita: suo padre era rabbino. Ancora giovanissimo, si convinse che la religione cristiana era quella vera. Dotato di una mente viva e attiva, Wolff seguiva con la massima attenzione le conversazioni che avvenivano nella casa paterna quando i pii ebrei si riunivano per rievocare le speranze alimentate dal loro popolo, la gloria del Messia che doveva venire e la restaurazione di Israele. Un giorno, udendo citare Gesù di Nazaret, il ragazzo chiese chi fosse. Gli fu risposto: “Un ebreo dotato di grande talento. Siccome però egli pretendeva di essere il Messia il tribunale ebraico lo condannò a morte”. Il ragazzo domandò: “Perché Gerusalemme fu distrutta e perché noi siamo in esilio?” Il padre gli rispose: “Ahimè! Ahimè! perché gli ebrei uccisero i profeti”. Allora il ragazzo pensò: “Forse anche Gesù era un profeta e gli ebrei lo uccisero nonostante fosse innocente”. Questo suo sentimento era così forte che, sebbene gli fosse stato proibito di entrare in una chiesa cristiana, spesso si soffermava sulla soglia per ascoltare la predicazione.
Aveva appena sette anni quando un cristiano di età avanzata, udendo il bambino vantarsi del futuro trionfo d’Israele all’avvento del Messia gli disse con dolcezza: “Caro bambino, ti dirò io chi era il vero Messia: Gesù di Nazaret… che i tuoi antenati crocifissero, come crocifissero gli antichi profeti.
Vai a casa e leggi il capitolo 53 del libro del profeta Isaia: ti convincerai da quelle parole che Gesù Cristo è il Figlio di Dio”. Il ragazzo, scosso da queste parole, tornò a casa e lesse il capitolo indicato. Rimase sorpreso, notando con quanta esattezza si fosse adempiuta la profezia in Gesù di Nazaret. Le parole di quel cristiano erano vere? Interrogò il padre per avere una spiegazione della profezia, ma incontrò un rigido silenzio tanto che egli non osò più rivolgergli una domanda simile. Questo, però, contribuì solo ad accrescere in lui il desiderio di conoscere meglio la religione cristiana.
Nell’ambiente in cui viveva venne severamente proibita e così, all’età di appena undici anni, lasciò la casa paterna. Voleva istruirsi, scegliere la sua religione e seguire la propria vocazione. Per un po’ di tempo rimase presso dei parenti i quali, però, non tardarono a scacciarlo di casa accusandolo di apostata. Si trovò solo, senza denaro e fu costretto a lavorare in casa di estranei. Andò da una città all’altra, studiando diligentemente e mantenendosi economicamente dando lezioni di ebraico. Sotto l’influsso di un maestro cattolico, Wolff abbracciò la fede romana e pensò di diventare un missionario presso il suo popolo. Con questo obiettivo andò a Roma per proseguire gli studi nel collegio della “Propaganda della Fede”. Ma il suo spirito indipendente e il suo modo di parlare con assoluta franchezza, gli costarono l’accusa di eresia. Egli attaccava apertamente la chiesa per i suoi abusi e sottolineava la necessità di una riforma. Mentre prima era stato trattato con particolare favore dai dignitari papali, dopo un po’ di tempo fu allontanato da Roma e, sotto la sorveglianza della chiesa, passò da un paese all’altro fino a che non apparve evidente che non si poteva fare nulla per indurlo a sottomettersi a Roma. Dichiaratamente ostinato, fu lasciato libero di andarsene. Andò in Inghilterra e, professando la fede protestante, si unì alla chiesa anglicana.
Dopo due anni di studio, nel 1821 egli cominciò la sua missione.
Wolff, pur accettando la grande verità della prima venuta di Gesù come “…uomo di dolore, familiare col patire…” (Isaia 53:3), si rendeva conto che le profezie mettevano in evidenza, con altrettanta chiarezza, il suo secondo avvento con potenza e gloria. Mentre si impegnava per condurre gli uomini al Cristo, il Messia promesso e per indicare loro la sua prima venuta, in sacrificio per i peccati degli uomini, Wolff insegnava anche il secondo avvento come Re e Liberatore.
“Gesù di Nazaret, il vero Messia” egli diceva “le cui mani e i cui piedi furono forati; che fu condotto al patibolo come un agnello; che era uomo di dolore, familiare col patire; che venne la prima volta quando lo scettro fu rimosso da Giuda… verrà una seconda volta sopra le nuvole del cielo, con la tromba dell’arcangelo”. “Egli si ergerà sul monte degli Ulivi, e quel dominio, assegnato ad Adamo alla creazione e da questi perduto (cfr. Genesi 1:26; Genesi 3:17) sarà dato a Gesù. Egli sarà Re su tutta la terra. Cesseranno allora i gemiti e i lamenti del creato e si udranno canti di gioia e di lode…
Quando Gesù verrà nella gloria del Padre suo, con i santi angeli… i credenti morti risusciteranno per primi. Cfr. 1 Tessalonicesi 4:16; 1 Corinzi 15:32.
Ecco quella che noi cristiani chiamiamo prima risurrezione. Allora il regno animale cambierà la sua natura (cfr. Isaia 11:6-9) e sarà sottomesso a Gesù.
Cfr. Salmi 8. La pace universale trionferà”. “Il Signore riguarderà sulla terra e dirà: ‘Essa è molto buona’”. Wolff credeva nell’imminente ritorno del Signore. La sua interpretazione dei periodi profetici lo aveva indotto ad assegnare a questo ritorno una data molto vicina a quella di Miller. A quanti dicevano, secondo le Scritture: “Ma quant’è a quel giorno ed a quell’ora nessuno li sa” Wolff rispondeva: “Il Signore ha forse detto che questo giorno e quest’ora non sarebbero stati mai conosciuti? Egli non ha indicato i segni dei tempi perché noi possiamo conoscere almeno l’avvicinarsi dell’estate dal fico che si copre di foglie?” Cfr. Matteo 24:32. Non conosceremo mai il tempo, dal momento che egli stesso ci esorta non solo a leggere il profeta Daniele, ma a comprenderlo? Ora, in questo stesso libro di Daniele sta scritto che certe parole sono sigillate fino al tempo della fine (era così per la sua epoca); che molti “andranno attorno” (espressione ebraica, per “osservare e considerare” il tempo) e che la conoscenza relativa a quel tempo “aumenterà”.
Daniele 12:4. Inoltre, il nostro Signore non intende dire che il fatto che il tempo sia vicino non sarà noto, ma che nessuno ne conosce il giorno esatto e l’ora esatta. Egli aggiunge che i segni dei tempi sono là per avvertirci e per indurci alla preparazione in vista della sua venuta, come fece anticamente Noè costruendo l’arca”. Circa il metodo popolare di interpretare, o piuttosto di fraintendere le Scritture, Wolff scrisse: “La maggior parte delle chiese cristiane ha perso di vista il chiaro significato della Bibbia e si è rivolta verso il fantomatico sistema dei buddisti i quali credono che la futura felicità del genere umano consista nel muoversi nell’aria e ritengono che quando si legge giudei si deve intendere gentili, quando si legge Gerusalemme si deve intendere chiesa; quando è scritto terra significa cielo. L’avvento del Signore vuol dire il progresso delle società missionarie; andare al monte della casa di Dio indica un grande raduno dei metodisti”. Per 24 anni, dal 1821 al 1845, Wolff fece lunghi viaggi in Africa dove visitò l’Egitto e l’Abissinia, e in Asia, dove attraversò la Palestina, la Siria, la Persia, il Buchara e l’India. Visitò anche gli Stati Uniti d’America e mentre vi si dirigeva fece scalo nell’isola di S. Elena. Giunse a New York nell’agosto del 1837 e, dopo aver predicato in quella città, predicò anche a Filadelfia e a Baltimora per poi raggiungere Washington. Qui, egli dice, “in una mozione presentata dall’ex presidente degli Stati Uniti, John Quincy Adams, la Camera mi concesse all’unanimità l’uso di una delle sale del Congresso per una conferenza che io tenni un sabato, onorato dalla presenza di tutti i membri del Congresso, del vescovo della Virginia, del clero e di molti cittadini di Washington. Lo stesso onore mi fu accordato anche dai membri del governo del New Jersey e della Pennsylvania, in presenza dei quali tenni delle conferenze sulle mie ricerche in Asia, come pure sul regno di Gesù Cristo”. Il dr. Wolff viaggiò nei paesi più barbari senza nessuna protezione da parte delle autorità europee. Sopportò molti sacrifici e fu costantemente circondato da pericoli. Fu assalito e percosso dai briganti; soffrì la fame; fu venduto come schiavo e per tre volte condannato a morte. Fu derubato e alcune volte rischiò di morire di sete. Una volta fu spogliato di tutto quello che possedeva e dovette percorrere a piedi, attraverso le montagne, centinaia di chilometri mentre la neve lo avvolgeva e gli sferzava il volto e i piedi nudi minacciavano di congelarsi a contatto con il suolo ghiacciato.
Quando gli consigliavano di non inoltrarsi, disarmato, fra tribù selvagge e ostili, egli diceva che le sue armi erano “la preghiera, lo zelo per il Cristo e la fiducia nel suo aiuto”. E aggiungeva: “Inoltre sono fornito dell’amore per Dio e per il prossimo e ho in mano la Bibbia”. Egli aveva sempre con sé la Bibbia in ebraico e in inglese. A proposito di uno dei suoi ultimi viaggi, scrisse: “Io… avevo in mano la Bibbia aperta. Sentivo che la mia forza risiedeva in quel libro: questa forza mi avrebbe sostenuto”. Wolff perseverò nella sua opera con tale impegno che il messaggio del giudizio fu diffuso in una vasta parte del mondo abitato. Fra i giudei, i turchi, i persiani, gli indù e molte altre nazionalità e razze, diffuse la Parola di Dio nelle varie lingue, predicando ovunque il prossimo regno del Messia.