Capitolo 33 - Il mistero dell’immortalità - Parte 03

“…Il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore”. Romani 6:23. La vita è l’eredità dei giusti, la morte quella degli empi. Mosè disse a Israele: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male”. Deuteronomio 30:15. La morte di cui si parla in questi passi non è quella che risulta dalla sentenza pronunciata nei confronti di Adamo e della quale l’intera umanità porta le conseguenze; si tratta della “morte seconda”, messa in parallelo con la vita eterna.
In seguito al peccato di Adamo, la morte si è trasmessa all’intero genere umano. Tutti gli uomini, indistintamente, scendono nella tomba e, grazie al piano della salvezza, tutti saranno risuscitati. “…Ci sarà una risurrezione de’ giusti e degli ingiusti”. Atti 24:15. “Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati”. 1 Corinzi 15:22. Fra le due categorie di persone che ritornano in vita c’è, però, una distinzione: “…tutti quelli che son nei sepolcri, udranno la sua voce e ne verranno fuori: quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; e quelli che hanno operato male, in risurrezion di giudicio”. Giovanni 5:28, 29. Coloro che saranno ritenuti degni della risurrezione sono definiti beati e santi: “…Su loro non ha potestà la morte seconda…” Apocalisse 20:6. Chi, invece, non si è assicurato il perdono mediante il pentimento e la fede, subirà la pena della propria colpa: “il salario del peccato”. Il loro castigo “secondo le loro opere” varierà quanto a durata e intensità, ma per tutti si concluderà con la “morte seconda”. Dio, infatti, misericordioso e giusto, non potrebbe salvare il peccatore nelle sue trasgressioni; perciò lo priva di un’esistenza alla quale non ha diritto e di cui si è dimostrato indegno. Dice uno scrittore ispirato: “Ancora un poco e l’empio non sarà più; tu osserverai il suo luogo, ed egli non vi sarà più”.
Salmi 37:10. E un altro dichiara che le nazioni “saranno come se non fossero mai state”. Abdia 16. Coperti d’infamia, essi scompaiono dimenticati per sempre.
Così sarà pronunciata la parola fine nei confronti del male, del dolore e della rovina che essi hanno provocato. Dice il salmista: “Tu hai sgridate le nazioni, hai distrutto l’empio, hai cancellato il loro nome in sempiterno. È finita per il nemico! Son rovine perpetue!…” Salmi 9:5, 6. Giovanni nell’Apocalisse contempla in visione l’eterna beatitudine degli eletti e ode un canto di lode universale che nessuna nota discorde può turbare. Ogni creatura in cielo e sulla terra glorifica Dio. Cfr. Apocalisse 5:13. Allora non ci saranno uomini dannati che bestemmieranno Dio perché vittime di un eterno tormento. Non ci saranno esseri immersi nel fuoco dell’inferno che mescoleranno i loro gemiti ai canti dei redenti.
La dottrina dello stato cosciente dei morti si basa sull’errore dell’immortalità naturale; essa, come quella delle pene eterne, è contraria all’insegnamento delle Scritture, ai dettami della ragione e ai nostri stessi sentimenti di umanità. Secondo la convinzione popolare, i giusti in cielo conoscono tutto ciò che accade sulla terra e in modo particolare quello che riguarda la vita dei loro amici rimasti quaggiù. Ma il defunto, potrebbe essere felice vedendo le difficoltà nelle quali si dibattono i vivi, i peccati commessi dai loro cari, il dolore, i disinganni, le angosce della loro vita? Di quale felicità celeste potrebbero godere coloro che seguono le vicende dei loro amici sulla terra? Come è brutto credere che appena l’alito vitale lascia il corpo, l’anima degli empi viene abbandonata alle fiamme dell’inferno! Che tortura devono provare coloro che vedono i loro amici non convertiti scendere nel sepolcro impreparati e quindi destinati a passare un’eternità di dolore e di peccato! Molti purtroppo hanno addirittura perso la ragione a questo pensiero così angosciante.
Ma che cosa dice la Parola di Dio a questo proposito? Davide afferma che nella morte l’uomo non è cosciente: “Il suo fiato se ne va, ed egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono i suoi disegni”. Salmi 146:4. Salomone esprime lo stesso pensiero: “…i viventi sanno che morranno; ma i morti non sanno nulla… il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole… nel soggiorno de’ morti dove vai, non v’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza”. Ecclesiaste 9:5, 6, 10.
Quando, in risposta alla sua preghiera, la vita gli fu prolungata di quindici anni, il re Ezechia manifestò a Dio la propria gratitudine con un inno di lode. In questo canto, egli indica la ragione della sua allegrezza: “Poiché non è il soggiorno de’ morti che possa lodarti, non è la morte che ti possa celebrare; quei che scendon nella fossa non posson più sperare nella tua fedeltà.
Il vivente, il vivente è quel che ti loda, come fo io quest’oggi”. Isaia 38:18, 19. La teologia popolare ci presenta i giusti morti, già in cielo nel soggiorno dei beati, mentre lodano Dio con labbra immortali. Ezechia, invece, non scorgeva nella morte questa gloriosa prospettiva e le sue parole confermano le dichiarazioni del salmista: “…nella morte non c’è memoria di te; chi ti celebrerà nel soggiorno de’ morti?” Salmi 6:5. “Non sono i morti che lodano l’Eterno, né alcuno di quelli che scendono nel luogo del silenzio”. Salmi 115:17.
Pietro, il giorno della Pentecoste, dichiarò a proposito del patriarca Davide: “…ch’egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al dì d’oggi fra noi… Poiché Davide non è salito in cielo…” Atti 2:29, 34. Il fatto che Davide rimanga nella tomba fino alla risurrezione prova che il giusto, al momento della morte, non va in cielo. È solo con la risurrezione e grazie alla risurrezione del Cristo che Davide, alla fine, potrà sedere alla destra di Dio.
Paolo disse: “…se i morti non risuscitano, neppur Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che dormono in Cristo, son dunque periti”. 1 Corinzi 15:16-18. Se per quattromila anni i giusti fossero andati direttamente in cielo subito dopo la morte, Paolo non avrebbe potuto affermare che se non c’è risurrezione “quelli che dormono in Cristo sono dunque periti”. Infatti, non sarebbe necessaria nessuna risurrezione.
Il martire Tyndale, riferendosi allo stato dei morti dichiarò: “Lo confesso apertamente di non essere affatto persuaso che essi siano già nella gloria di cui godono il Cristo e i santi angeli di Dio. Questo non è per me un articolo di fede, perché se così fosse sarebbe inutile predicare la risurrezione della carne”. È evidente che la speranza dell’eterna felicità subito dopo la morte ha fatto dimenticare quasi completamente la dottrina biblica della risurrezione.
Questa tendenza fu notata da Adam Clarke il quale scrisse: “La dottrina della risurrezione era molto più importante per i primi cristiani di quanto non lo sia oggi. Per quale ragione? Gli apostoli vi insistevano costantemente ed esortavano i discepoli del Cristo ad essere diligenti, ubbidienti e lieti.
Attualmente, i loro successori, la ricordano raramente! Così predicavano gli apostoli e così credevano i primi cristiani; così predichiamo noi e così credono oggi i nostri uditori. Nel Vangelo, nessun’altra dottrina è stata sottolineata con maggiore enfasi, ma nell’attuale sistema di predicazione non c’è dottrina che sia stata più trascurata”. Perseverando in questa direzione la gloriosa verità della risurrezione ha finito per essere quasi completamente dimenticata dal mondo cristiano. Un autorevole scrittore religioso, commentando le parole di Paolo in 1 Tessalonicesi 4:13-18, dice: “Dal punto di vista pratico della consolazione, la dottrina dell’immortalità dei giusti si sostituisce all’incerta dottrina del secondo avvento del Signore. Per noi Gesù ritorna alla nostra morte: è questo che aspettiamo ed è per questo che noi vegliamo. I morti sono già nella gloria. Essi non devono aspettare la tromba del giudizio per entrare nell’eterna felicità”.
Quando stava per lasciare i suoi discepoli, il Cristo non disse loro che presto lo avrebbero raggiunto, ma: “…io vo a prepararvi un luogo; e quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò, e v’accoglierò presso di me…” Giovanni 14:2, 3. Paolo, a sua volta, dichiara che “…il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insiem con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore”. Quindi aggiunge: “Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole”. 1 Tessalonicesi 4:16-18.
Che contrasto fra queste espressioni di conforto e quelle del pastore universalista che abbiamo ricordato! Quest’ultimo consolava gli amici desolati dicendo loro che per quanto il defunto fosse stato un peccatore, esalando il suo ultimo respiro terreno, era stato accolto fra gli angeli. Paolo, al contrario, presenta ai fratelli la futura venuta del Signore, quando, infrante le catene del sepolcro, “i morti in Cristo” risorgeranno a vita eterna.
Prima che una persona possa entrare nel regno di Dio, il suo caso deve essere preso in considerazione; Dio stesso esamina il suo carattere e le sue azioni. Tutti saranno giudicati secondo quello che è scritto nei libri e riceveranno la ricompensa in base alle loro opere. Ascoltiamo le parole di Paolo: “(Dio)… ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia, per mezzo dell’uomo ch’Egli ha stabilito; del che ha fatto fede a tutti, avendolo risuscitato dai morti”. Atti 17:31. L’apostolo dichiara esplicitamente che è stato fissato un tempo preciso, ancora futuro, per il giudizio del mondo.
Giuda parla dello stesso momento in questi termini: “…Egli ha serbato in catene eterne, nelle tenebre, per il giudicio del gran giorno, gli angeli che non serbarono la loro dignità primiera, ma lasciarono la loro propria dimora”. Cita poi le parole di Enoch: “…Ecco, il Signore è venuto con le sue sante miriadi per far giudicio contro tutti”. Giuda 6, 14. Giovanni dichiara: “…vidi i morti, grandi e piccoli, che stavan ritti davanti al trono; ed i libri furono aperti… e i morti furon giudicati dalle cose scritte nei libri…” Apocalisse 20:12.
Ma se i morti godono già della felicità del cielo, oppure sono tormentati dalle fiamme dell’inferno, che bisogno c’è di un giudizio futuro? Gli insegnamenti della Parola di Dio su questi punti così importanti non sono né oscuri né tanto meno contraddittori: essi possono essere compresi perfettamente.
Ma quale uomo, non prevenuto, può vedere saggezza e giustizia in questa teoria popolare? I giusti, una volta che i loro casi saranno stati esaminati dal grande Giudice, riceveranno forse l’elogio: “Va bene, buono e fedel servitore… entra nella gioia del tuo Signore”, dopo essere stati alla presenza di Dio per lunghi secoli? I malvagi, a loro volta, sarebbero richiamati dal luogo del loro tormento per udire la sentenza del Giudice di tutta la terra: “…Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno”? Matteo 25:21, 41. No, sarebbe una beffa atroce, una deplorevole smentita della saggezza e della giustizia di Dio! La teoria dell’immortalità dell’anima è una di quelle dottrine che Roma, attingendola dal paganesimo, ha inserito nella religione cristiana. Martin Lutero la classificò fra le “favole mostruose che fanno parte della “melma” delle decretali romane”. Commentando le parole di Salomone in Ecclesiaste, secondo le quali “i morti non sanno nulla”, il riformatore scriveva: “Un altro passo dove viene dimostrato che i morti non si rendono conto di nulla.
Là [nella tomba] non c’è né dovere, né scienza, né conoscenza, né sapienza.
Salomone ritiene che i morti dormano e non sentano nulla, non avendo nessuna nozione dei giorni e degli anni, quando si risveglieranno sembrerà loro di avere dormito solo un minuto”. In nessuna parte della Scrittura si legge che al momento della morte i giusti ricevono il loro premio o gli empi subiscono il loro castigo. I patriarchi e i profeti non hanno fatto nessuna affermazione del genere; il Cristo e gli apostoli non vi hanno alluso minimamente. La Bibbia insegna in modo esplicito che i morti non vanno immediatamente in cielo: dormono fino alla risurrezione. Cfr. 1 Tessalonicesi 4:14; Giobbe 14:10-12. Il giorno in cui “il cordone d’argento si stacca e il vaso d’oro si spezza” (cfr. Ecclesiaste 12:8) l’uomo non pensa più. Coloro che scendono nel sepolcro vivono nel silenzio e non partecipano a ciò che accade “sotto il sole”. Cfr. Ecclesiaste 9:6. Beato riposo per il giusto affaticato! Il tempo, lungo o breve che sia, per loro è solo un istante. Essi dormono e la tromba di Dio li sveglierà per la gloriosa immortalità. “…La tromba sonerà, e i morti risusciteranno incorruttibili… E quando questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità, e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: La morte è stata sommersa nella vittoria”.
1 Corinzi 15:52, 54. Scossi dal loro sonno essi riprenderanno il corso dei loro pensieri dove l’hanno lasciato. L’ultima sensazione era il terrore della morte e l’ultima impressione era stata quella di non poter resistere alla morte.
Quando usciranno dal sepolcro, il loro primo pensiero sarà espresso da questo grido trionfante: “O morte, dov’è la tua vittoria?…” 1 Corinzi 15:55.