Capitolo 40 - La liberazione del popolo di Dio - Parte 04


Pieno di gioia, egli guarda gli alberi che un tempo erano stati la sua delizia e di cui aveva raccolto il frutto nei giorni felici prima del peccato. Vede le viti che le sue mani avevano coltivato e i fiori che amava tanto curare. È profondamente colpito dalla scena e comprende che questo è veramente l’Eden restaurato: ancora più bello di quando lo aveva lasciato. Il Salvatore lo accompagna verso l’albero della vita, ne coglie il magnifico frutto e lo invita a mangiarlo.
Adamo si guarda intorno e vede, nel paradiso di Dio, la folla di redenti della sua famiglia. Allora depone la sua corona scintillante ai piedi del Signore e si getta fra le sue braccia. Poi fa vibrare le corde dell’arpa d’oro e il cielo riecheggia del grido esultante: “Degno, degno, degno è l’Agnello che è stato immolato e che è ritornato in vita!” La famiglia di Adamo si unisce a questo canto e tutti gettano le loro corone ai piedi del Salvatore, davanti al quale si inchinano in atto di adorazione.
Gli stessi angeli che piansero alla caduta di Adamo e si rallegrarono quando Gesù, dopo la risurrezione, salì al cielo, che hanno aperto la tomba a tutti coloro che hanno creduto nel suo nome, ora contemplano l’opera della redenzione e uniscono le loro voci al canto di lode.
Sul mare di vetro che è davanti al trono e che i riflessi della gloria di Dio fanno somigliare a vetro mescolato al fuoco, è riunita la folla di coloro che hanno “…ottenuta vittoria sulla bestia e sulla sua immagine e sul numero del suo nome…” Apocalisse 15:2. Con l’Agnello, sul monte di Sion, suonando “le arpe di Dio” ci sono i 144.000 riscattati dalla terra. Si ode “…una voce dal cielo come rumore di molte acque e come rumore di gran tuono; e la voce che udii era come il suono prodotto da arpisti che suonano le loro arpe. E cantavano un cantico nuovo davanti al trono…”, un canto che soltanto i 144.000 possono imparare. È il canto di Mosè e dell’Agnello: è il canto della liberazione.
Nessuno, ad eccezione dei 144.000 lo può imparare, perché è il canto della loro esperienza, che solo loro hanno vissuto. “…Essi son quelli che seguono l’Agnello dovunque vada”. Traslati dalla terra fra i viventi, essi sono considerati “primizie a Dio ed all’Agnello…” Apocalisse 14:1-4. “…Essi son quelli che vengono dalla gran tribolazione” (Apocalisse 7:14), hanno affrontato il “tempo di distretta” quale “non se n’ebbe mai da quando esistono le nazioni“: essi hanno conosciuto l’angoscia del tempo di “distretta di Giacobbe”, hanno resistito senza intercessore allo scatenarsi del giudizio finale ma sono stati liberati perché “…hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello”. Apocalisse 7:14. “E nella bocca loro non è stata trovata menzogna: sono irreprensibili”. Apocalisse 14:5. Essi hanno visto la terra devastata dalla carestia, dalla pestilenza e dal calore di un sole divorante; hanno dovuto sopportare la sofferenza, la fame e la sete. Però “Non avranno più fame e non0 avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pasturerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Iddio asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro”. Apocalisse 7:16, 17.
In ogni epoca, gli eletti del Salvatore sono stati educati e disciplinati alla scuola della prova; hanno percorso gli stretti sentieri del mondo e sono stati purificati dall’afflizione. Per amore del Cristo hanno sopportato l’opposizione, l’odio e la calunnia; hanno seguito il Signore attraverso dure lotte; hanno accettato la rinuncia e hanno assaporato l’amarezza della delusione. Dalla loro personale, dolorosa esperienza, hanno imparato la malvagità del peccato, la sua potenza, la sua gravità e la sua infamia, considerandolo con un vivo senso di orrore. La consapevolezza del sacrificio infinito, affrontato per redimerli, li rende umili e riempie i loro cuori di quella gratitudine che non potrebbe provare chi non ha mai peccato. Essi amano molto perché a loro è stato perdonato molto. Partecipi delle sofferenze del Cristo, sono in grado di condividere la sua gloria.
Gli eredi di Dio provengono dalle soffitte, dai tuguri, dalle prigioni, dai patiboli, dalle montagne, dalle caverne della terra e dalle profondità del mare.
Sulla terra furono privati di ogni cosa, afflitti, tormentati. Morirono a milioni coperti d’infamia, perché avevano rifiutato con fermezza di cedere alle lusinghe ingannevoli di Satana. I tribunali umani li condannarono come vili criminali. Ma ora “…Dio stesso sta per giudicare…” (Salmi 50:6) e il verdetto della terra viene capovolto: “…il Signore… torrà via di su tutta la terra l’onta del suo popolo…” Isaia 25:8. “Quelli saran chiamati “Il popolo santo”, I redenti dell’Eterno”…” Isaia 62:12. Egli darà loro “…un diadema in luogo di cenere, l’olio della gioia in luogo di duolo, il manto della lode in luogo d’uno spirito abbattuto…” Isaia 61:3. Essi non sono più deboli, afflitti, dispersi e oppressi. Da ora in poi saranno sempre con il Signore. Essi sono davanti al trono rivestiti di abiti più ricchi di quelli indossati dagli uomini più importanti della terra; portano diademi più preziosi di quelli dei re terreni. I giorni del dolore e del pianto sono finiti per sempre. Il Re della gloria ha asciugato le lacrime da ogni volto e ogni motivo di tristezza è stato eliminato. Agitando rami di palma, essi cantano un inno di lode, chiaro, dolce e armonioso. Ogni voce si unisce alla loro e nel cielo si diffondono le potenti note dell’inno: “…La salvezza appartiene all’Iddio nostro il quale siede sul trono, ed all’Agnello”. Tutti gli abitanti del cielo fanno eco dicendo: “Amen! All’Iddio nostro la benedizione e la gloria e la sapienza e le azioni di grazie e l’onore e la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen”. Apocalisse 7:10, 12.
In questa vita abbiamo soltanto una comprensione parziale del tema meraviglioso della redenzione. La nostra limitata intelligenza può considerare con la più profonda attenzione l’infamia e la gloria, la vita e la morte, la giustizia e la misericordia che si incontrano alla croce, ma nonostante il massimo impegno delle nostre facoltà mentali, non riusciamo ad afferrarne il pieno significato.
Essa comprende solo in maniera imperfetta la lunghezza e la larghezza, la profondità e l’altezza dell’amore del Redentore. I salvati non capiranno perfettamente il piano della redenzione neppure quando vedranno come sono stati visti e conosceranno come sono stati conosciuti; ma nell’eternità nuove verità verranno rivelate alla loro mente meravigliata e rapita. Sebbene i dolori, le angosce e le tentazioni di questa terra non esistano più e ne sia stata eliminata la causa, il popolo di Dio avrà sempre un’esatta e intelligente nozione del prezzo della sua salvezza.
L’esperienza di Gesù sarà approfondita e cantata dai redenti nell’eternità.
Nel Cristo glorificato, essi vedranno il Cristo crocifisso. Essi non dimenticheranno mai che colui, che con la sua potenza ha creato e sostiene i mondi nell’immenso regno dello spazio, il Figlio diletto di Dio, la Maestà del cielo, colui che i cherubini e i serafini adorano con gioia, si umiliò per rialzare l’uomo caduto, prese su di sé la colpa e subì l’infamia del peccato. Egli sopportò la separazione dal Padre e soffrì così tanto per i peccati di un mondo perso che, sulla croce del Calvario, il suo cuore ne fu spezzato e morì. Il pensiero che il Creatore di tutti i mondi, l’Arbitro di tutti i destini, abbia acconsentito a rinunciare alla sua gloria e umiliarsi per amore dell’uomo, susciterà sempre la meraviglia e l’adorazione dell’universo. Quando i redenti contempleranno l’eterna gloria del Padre che risplende sul viso del Salvatore, quando vedranno il suo trono che di eternità in eternità non avrà mai fine, allora intoneranno il canto: “Degno, degno è l’Agnello che è stato ucciso e che ci ha riscattati col suo prezioso sangue!” Il mistero della croce spiega tutti gli altri misteri. Alla luce che scaturisce dal Calvario, il carattere di Dio che ci aveva riempito di timore e di spavento, ci apparirà in tutta la sua bellezza. In Dio, la misericordia, la tenerezza e l’amore paterno si ritrovano uniti alla santità, alla giustizia e alla potenza. Nel contemplare la maestà del suo trono, alto ed eccelso, si nota l’amore che determina il suo carattere e si comprende, come mai prima, la portata di quel nome affettuoso “Padre nostro”.
Si vedrà allora che colui che è infinito in sapienza poteva salvarci soltanto tramite il sacrificio del Figlio. La ricompensa per questo sacrificio sarà la gioia di poter popolare la terra con esseri redenti, santi, felici e immortali. Il conflitto fra il Salvatore e le potenze delle tenebre terminerà con la felicità dei salvati che renderà completa la gloria di Dio per l’eternità. Il valore dell’uomo è così grande che il Padre sarà soddisfatto del prezzo pagato e Cristo stesso, vedendo i frutti del suo immenso sacrificio, sarà anche lui appagato.