Capitolo 05 - Jan Hus e Gerolamo da Praga - Parte 01

Il messaggio del Vangelo era stato diffuso in Boemia già nel IX secolo. La Bibbia era stata tradotta e il culto veniva celebrato nella lingua del popolo. Però, nella misura in cui l’autorità papale cresceva eclissava la Parola di Dio. Gregorio VII, che si era proposto di umiliare l’orgoglio dei re e rendere schiavo il popolo, promulgò una bolla che vietava il culto pubblico in lingua boema. Affermava che “era piaciuto all’Onnipotente decretare che il culto gli fosse reso in lingua sconosciuta, perché non pochi mali e non poche eresie erano derivati dall’avere trascurato tale regola”. Roma, decretò che la luce della Parola di Dio venisse spenta e il popolo restasse immerso nelle tenebre.
Dio comunque aveva provveduto a salvaguardare la chiesa. Molti valdesi e albigesi, fuggiti dalla Francia e dall’Italia, a causa della persecuzione, si rifugiarono in Boemia. Sebbene non avessero il coraggio di predicare apertamente in questo paese, agirono segretamente con molto zelo. Fu così che la vera fede venne tramandata da una generazione all’altra.
Prima di Hus, vi erano stati in Boemia uomini che avevano apertamente condannato la corruzione della chiesa e del popolo. Il loro intervento aveva suscitato un vasto e profondo interesse. Il clero, allarmato, scatenò una persecuzione contro quanti si professavano discepoli del Vangelo. Costretti a riunirsi nei boschi e sui monti, inseguiti dai soldati, molti furono uccisi. Ben presto venne decretato che chiunque si fosse distaccato dalla chiesa di Roma sarebbe stato condannato al rogo. I cristiani, morendo, erano convinti che un giorno la loro causa avrebbe trionfato. Uno di coloro che avevano insegnato che la salvezza si ottiene solo mediante la fede nel Salvatore crocifisso, disse in punto di morte: “L’ira dei nemici della verità ora ha il sopravvento, ma non sarà sempre così. Sorgerà fra il popolo qualcuno, senza spada e senza autorità, contro il quale tutte le armi si spunteranno”. L’epoca di Lutero era ancora lontana, ma si sarebbe fatta sentire una voce la cui testimonianza contro Roma avrebbe scosso le nazioni.
Jan Hus era di umili origini e rimase orfano di padre molto presto. Sua madre, donna pia che considerava l’educazione e il rispetto di Dio più importanti dei beni terreni, si sforzò di trasmettere questi princìpi al figlio. Hus studiò prima nella scuola provinciale, poi fu ammesso per pura carità all’università di Praga. La madre lo accompagnò fino alla sua nuova residenza.
Giunta vicino alla grande città, non potendo dare altra eredità al figlio, si inginocchiò davanti a lui e invocò sull’orfanello la benedizione del Padre celeste. Senza immaginare in che modo la sua preghiera sarebbe stata esaudita.
All’università, Hus si distinse per il suo instancabile impegno e i suoi rapidi progressi; la sua vita integra e la sua gentilezza, gli valsero la stima di tutti.
Egli era un fedele discepolo della chiesa di Roma e ricercava sinceramente le benedizioni spirituali che essa elargiva. Durante un giubileo, Hus andò a confessarsi e dopo aver offerto gli ultimi spiccioli delle sue magre risorse, si unì alla processione per ottenere l’assoluzione promessa. Ultimati gli studi, entrò nel sacerdozio e non tardò ad affermarsi, tanto che fu ammesso alla corte del re. Diventato professore, fu successivamente nominato rettore di quella stessa università in cui si era laureato. Il povero studente di un tempo finì per diventare il vanto della nazione, mentre il suo nome era noto in tutta Europa.
Hus cominciò l’opera della Riforma in un altro campo. Alcuni anni dopo aver preso i voti fu nominato pastore della cappella di Betlemme. Il suo fondatore sosteneva, considerandola della massima importanza, la necessità di predicare la Sacra Scrittura nella lingua del popolo. Nonostante l’opposizione di Roma, in Boemia tale consuetudine non era stata del tutto abbandonata.
Purtroppo, però, molti ignoravano la Bibbia e fra la gente di ogni ceto imperversavano i vizi peggiori. Hus denunciò senza esitazione questi errori e fece appello alla Parola di Dio per inculcare i princìpi della verità e della purezza da lui sostenuti.
Un cittadino di Praga, Gerolamo, che più tardi diventò intimo collaboratore di Hus, reduce dall’Inghilterra, aveva portato con sé gli scritti di Wycliffe.
La regina d’Inghilterra, convertitasi agli insegnamenti del riformatore britannico, era una principessa boema. Fu anche grazie al suo appoggio che le opere di Wycliffe si diffusero nella sua terra natia. Hus esaminò quelle opere con vivo interesse e si convinse che il suo autore era un cristiano sincero. Finì per considerare favorevolmente la riforma che Wycliffe sosteneva. Senza rendersene conto, Hus stava già percorrendo il sentiero che lo avrebbe condotto molto lontano da Roma.
A quell’epoca giunsero a Praga, provenienti dall’Inghilterra, due stranieri.
Erano uomini colti, che avendo ricevuto il messaggio della verità erano venuti a diffonderlo in quella terra lontana. Cominciarono con un aperto attacco alla supremazia papale, ma le autorità li costrinsero a tacere. Siccome, però, non erano disposti a rinunciare al loro proposito, ricorsero a un altro espediente.
Oltre che predicatori erano pittori, perciò sfruttarono le loro capacità artistiche. In un luogo aperto al pubblico, dipinsero due quadri. Uno rappresentava l’ingresso di Gesù in Gerusalemme: “…mansueto, e montato sopra un asino…” (Matteo 21:5, Diodati), seguito dai discepoli scalzi, in abiti dimessi. L’altro, invece, raffigurava una processione pontificia: il papa indossava ricche vesti, cingeva il triregno e cavalcava un cavallo magnificamente bardato. Lo precedevano dei trombettieri ed era seguito da alti prelati in abiti sontuosi.
Quella decorazione murale predicava un sermone che attirava l’attenzione di tutti. La folla si accalcava per contemplare quelle opere e nessuno poteva fare a meno di capire l’insegnamento che ne scaturiva. Molti rimasero colpiti dal contrasto fra la mansuetudine e l’umiltà del Cristo, il Maestro, e l’orgoglio e l’arroganza del papa che si definiva suo servitore. Tutta Praga era rimasta profondamente scossa e i due stranieri, dopo poco tempo, ritennero opportuno andarsene per salvaguardare la loro vita, ma l’insegnamento trasmesso non fu dimenticato. I loro quadri provocarono una profonda impressione nella mente di Hus e lo spinsero a uno studio più approfondito della Bibbia e degli scritti di Wycliffe. Sebbene egli non fosse ancora pronto per accettare tutte le riforme auspicate da Wycliffe, si rendeva conto, sempre più chiaramente, della natura del papato e, con grande zelo, iniziò a denunciare l’orgoglio, l’ambizione e la corruzione della gerarchia romana.
Dalla Boemia il messaggio si diffuse in Germania in seguito a contrasti sorti nell’università di Praga, che avevano indotto alcune centinaia di studenti tedeschi ad andarsene. Molti di loro avevano ricevuto da Hus la conoscenza della Bibbia e così, rientrati in patria, vi diffusero il messaggio del Vangelo.
Roma venne a sapere ciò che stava accadendo e Hus fu invitato a presentarsi al papa. Ubbidire significava esporsi a morte sicura. Il re e la regina di Boemia, l’università, i membri della nobiltà, le personalità del governo si unirono per inviare al pontefice una petizione con la quale chiedevano che Hus fosse autorizzato a rimanere a Praga e a farsi rappresentare a Roma da un delegato. Il papa, invece di aderire alla richiesta, giudicò e condannò Hus, sottoponendo all’interdetto la città di Praga.
In quei tempi, una sentenza simile creava ovunque un vivo allarme. Le cerimonie che l’accompagnavano erano di natura tale da terrorizzare la gente, che considerava il pontefice come il rappresentante di Dio, detentore delle chiavi del cielo e dell’inferno, dotato della facoltà di decretare castighi temporali e spirituali. Si pensava che le porte del cielo sarebbero rimaste chiuse per le zone colpite dall’interdetto e che, finché non fosse piaciuto al papa revocarlo, i morti sarebbero stati esclusi dalla dimora dei beati.
Per dimostrare quanto grave fosse questa calamità, tutte le funzioni religiose furono sospese, i luoghi di culto chiusi, i matrimoni celebrati nel cortile antistante la chiesa, i morti — a causa del divieto di seppellirli in terra consacrata — venivano sepolti senza alcun rito funebre nei campi o nei fossati. Così, ricorrendo a misure che colpivano l’immaginazione popolare, Roma esercitava il proprio dominio sulle coscienze degli uomini.
Praga era sconvolta. Una parte della popolazione accusava Hus di essere la causa di tutte quelle disgrazie e chiedeva che fosse consegnato alle autorità religiose di Roma. Per placare la tempesta, il riformatore si ritirò per un po’ di tempo nel suo villaggio natio. Scrivendo agli amici rimasti nella capitale diceva: “Se mi sono allontanato da voi, è stato per attenermi agli insegnamenti e all’esempio di Gesù Cristo, temendo di rappresentare un’occasione di condanna eterna per i malvagi e fonte di afflizione e di persecuzione per i giusti. Mi sono ritirato anche per paura che dei sacerdoti empi continuino a ostacolare, fra voi, la predicazione della Parola di Dio. Non vi ho lasciati per rinnegare la verità divina per la quale io sono pronto, con l’aiuto di Dio, a dare la vita”. Hus non interruppe la sua attività, anzi percorse il paese circostante, continuando a predicare a folle assetate di conoscenza. Accadde così che le misure a cui era ricorso il papa per sopprimere il Vangelo, finirono per contribuire a una sua maggiore diffusione. “Perché noi non possiamo nulla contro la verità; quel che possiamo è per la verità”. 2 Corinzi 13:8.
“In quell’epoca Hus, era in preda a un profondo conflitto. Nonostante la chiesa cercasse di sopraffarlo con le sue minacce, egli non ne aveva rigettata l’autorità. Per lui, la chiesa di Roma continuava a essere la chiesa del Cristo e il papa il rappresentante e il vicario di Dio. Hus lottava contro l’abuso di autorità e non contro il principio stesso. Fu questo a determinare una tremenda lotta fra le sue convinzioni e la voce della sua coscienza. Se l’autorità papale era legittima e infallibile, come egli riteneva, come mai si sentiva spinto a resisterle? D’altra parte, si rendeva conto che ubbidire significava peccare.
Perché, si chiedeva, l’ubbidienza a una chiesa infallibile doveva condurre a questa conclusione? Era questo il dilemma che Hus non riusciva a sciogliere; era questo il dubbio che lo torturava continuamente. La soluzione più approssimativa a cui egli poteva giungere era, come del resto era già accaduto ai tempi del Salvatore, che i sacerdoti della chiesa erano corrotti e si servivano di un potere legittimo per fini illegali. Ciò lo indusse ad adottare come guida, e a proporla agli altri, la massima secondo la quale i precetti della Scrittura, recepiti tramite la ragione, devono guidare la nostra coscienza. In altri termini l’unica guida infallibile è Dio che parla nella Bibbia e non la chiesa che parla tramite il sacerdote”. Quando, dopo un po’ di tempo, la calma fu ristabilita a Praga, Hus ritornò alla sua cappella di Betlemme per riprendere con maggior zelo e coraggio la predicazione della Parola di Dio.
I nemici erano potenti e attivi, ma la regina e molti nobili erano suoi amici e la maggior parte della popolazione era con lui. Confrontando i suoi insegnamenti puri ed elevati e la sua vita santa con i dogmi degradanti predicati dai discepoli di Roma, con la loro avarizia e depravazione, molti si sentirono onorati di schierarsi con lui.
Fino ad allora Hus aveva condotto da solo l’opera di riforma ma ora Gerolamo da Praga, che durante il suo soggiorno in Inghilterra aveva accettato gli insegnamenti di Wycliffe, diventò suo collaboratore. I due, uniti nella vita, non furono separati nella morte. Genio brillante, eloquenza, cultura — doti queste che attiravano il favore popolare — erano le qualità che Gerolamo possedeva in notevole misura, mentre per quel che riguardava la forza del carattere Hus gli era superiore. La sua profonda capacità di riflettere frenava lo spirito impulsivo di Gerolamo che, però, con sincera umiltà si rendeva conto del valore di Hus e ben volentieri si sottometteva ai suoi consigli.
Grazie all’attività congiunta di questi due uomini il messaggio della Riforma si estese rapidamente.
Dio illuminò la mente di questi uomini eletti, rivelando loro molti errori della chiesa di Roma. Essi, però, non ricevettero il messaggio completo che doveva essere presentato al mondo. Dio si servì di loro per liberare gli uomini dalle tenebre. Molti erano gli ostacoli che dovevano affrontare e il Signore li guidò gradualmente tenendo conto dei numerosi e seri problemi che avrebbero dovuto affrontare. Non essendo pronti a contemplare la verità in tutto il suo splendore se ne sarebbero allontanati, abbagliati come una persona che passa dall’oscurità al sole di mezzogiorno. Per questo Dio la rivelò a poco a poco, affinché potesse essere assimilata dagli uomini. Secolo dopo secolo, poi, altri fedeli messaggeri avrebbero guidato gli uomini sempre più avanti lungo il cammino della Riforma.
Perdurava intanto lo scisma nella chiesa: tre papi si contendevano il primato e la lotta provocava tumulti e crimini. Non contenti di scagliarsi reciprocamente degli anatemi, ricorsero alle armi. Ognuno di essi riteneva fosse proprio dovere procurarsi armamenti e soldati. Naturalmente, tutto ciò comportava spese non indifferenti e quindi, nell’intento di raccogliere il denaro necessario, furono posti in vendita incarichi, benefici e benedizioni da parte della chiesa. Anche i sacerdoti, imitando i superiori, praticarono la simonia per umiliare i rivali e per rafforzare il proprio potere. Con coraggio crescente Hus si scagliò contro le malvagità che venivano commesse e tollerate in nome della religione e la gente, a sua volta, accusò apertamente i capi della chiesa delle miserie che opprimevano il mondo cristiano.
Praga era nuovamente minacciata da un sanguinoso conflitto. Come ai tempi d’Israele, il servitore di Dio fu accusato: “…Sei tu colui che mette sossopra Israele”. 1 Re 18:17. La città fu nuovamente colpita dall’interdetto e Hus, ancora una volta, fu costretto a ritirarsi nel suo villaggio natio. Aveva finito di presentare fedelmente la sua testimonianza nella cappella di Betlemme, ma prima di donare la propria vita come testimone della verità, egli sarebbe stato chiamato a predicare al mondo intero da un pulpito più elevato.
Per risanare i mali che travagliavano l’Europa l’imperatore Sigismondo chiese a uno dei tre papi rivali, Giovanni XXIII, di convocare un concilio generale a Costanza. Questo papa non vedeva di buon occhio la convocazione del concilio, poiché la sua vita intima e la sua politica non erano tali da poter reggere a un’inchiesta, anche se condotta da prelati la cui moralità, come spesso accadeva a quei tempi, lasciava molto a desiderare. Tuttavia non osò opporsi alla volontà di Sigismondo. I principali obiettivi che il concilio si prefiggeva erano: porre fine allo scisma nella chiesa ed estirpare l’eresia. I due antipapi furono invitati a presentarsi davanti al concilio e analogo invito fu rivolto a Jan Hus nella sua qualità di principale esponente delle nuove opinioni. I primi, per salvaguardare la propria incolumità, non intervennero e si fecero rappresentare dai loro delegati. Papa Giovanni, pur risultando apparentemente come colui che aveva convocato il concilio, vi intervenne con molta apprensione, temendo che l’imperatore accarezzasse il segreto proposito di deporlo e di essere chiamato a rispondere dei vizi che avevano disonorato la tiara e dei crimini che gliel’avevano assicurata. Egli comunque entrò a Costanza con gran pompa, seguito da una schiera di cortigiani e accompagnato da ecclesiastici di alto rango. Tutto il clero e tutti i dignitari della città, seguiti da una folla immensa, gli andarono incontro a porgergli il benvenuto. Sul suo capo c’era un baldacchino dorato, portato da quattro fra i principali magistrati. Lo precedeva l’ostia. I sontuosi abiti di cardinali e nobili aggiungevano particolare lustro al corteo.
Frattanto un altro viaggiatore si avvicinava a Costanza. Hus, consapevole dei pericoli che lo minacciavano, si congedò dagli amici come se non dovesse più rivederli. Si mise in viaggio, convinto di dirigersi al rogo. Nonostante avesse ottenuto il salvacondotto dal re di Boemia e ne avesse ricevuto un secondo, durante il viaggio, dall’imperatore Sigismondo, egli espresse le necessarie disposizioni in vista della sua morte.
In una lettera indirizzata ai suoi amici di Praga diceva: “Fratelli miei… io parto con un salvacondotto del re per affrontare i miei numerosi e mortali nemici… Confido comunque nel Dio onnipotente e nel mio Salvatore, certo che egli ascolterà le vostre fervide preghiere e metterà sulla mia bocca la sua prudenza e la sua saggezza in modo che io possa resistere. Egli mi accorderà il suo Spirito Santo per fortificarmi nella verità affinché io sappia affrontare coraggiosamente le tentazioni, il carcere e, se necessario, una morte crudele.
Gesù Cristo soffrì per i suoi diletti, perché dovremmo quindi stupirci che egli ci abbia lasciato il suo esempio per sopportare con pazienza ogni cosa in vista della nostra salvezza? Egli è Dio e noi siamo le sue creature; egli è il Signore e noi siamo i suoi servitori; egli è il Sovrano del mondo e noi siamo poveri mortali. Eppure, egli ha sofferto. Perché quindi non dovremmo soffrire anche noi, soprattutto quando la sofferenza è per noi una purificazione? Diletti, se la mia morte deve contribuire alla sua gloria, pregate che essa venga presto e che Dio mi aiuti a sopportare con pazienza le mie sofferenze. Se invece è meglio che io ritorni fra voi preghiamo Dio che io riparta da questo concilio senza macchia, cioè che io non elimini neppure uno iota della verità del Vangelo e dia, in tal modo, un buon esempio. Però, se è volontà dell’Onnipotente che io vi sia restituito progrediamo con coraggio nella conoscenza e nell’amore della sua legge”. In un’altra lettera, indirizzata a un ex sacerdote cattolico, diventato discepolo del Vangelo, Hus parlava con profonda umiltà dei propri errori e si scusava di avere “provato piacere nell’indossare ricchi abiti e di aver sprecato ore preziose in occupazioni frivole”. Poi aggiunge questa toccante esortazione: “Che la tua mente sia occupata dalla gloria di Dio e non dal desiderio di benefici e possedimenti. Guardati dall’adornare la tua casa più della tua anima e abbi la massima cura dell’edificio spirituale. Sii pio e umile con il povero, non sprecare le tue sostanze in occasione delle feste. Se non cambi e non ti astieni dalle cose superflue, temo sarai severamente punito come lo sono stato io… Tu conosci la mia dottrina, perché hai ricevuto i miei insegnamenti fin dalla tua fanciullezza. Perciò è inutile che io te ne scriva ancora.
In ogni caso ti scongiuro, per la grazia del nostro Signore, di non imitarmi in nessuna delle vanità in cui tu puoi avermi visto cadere”. Sulla busta aggiunse: “Amico mio, ti scongiuro di non infrangere questo sigillo fino a che tu non abbia la certezza della mia morte”. Durante il viaggio Hus vide ovunque i segni della diffusione delle sue dottrine e del favore di cui godeva la sua opera. La gente si accalcava per vederlo e in alcune città i magistrati lo scortarono lungo la via.
Giunto a Costanza, Hus godette della piena libertà perché al salvacondotto dell’imperatore si era aggiunta una personale garanzia di protezione da parte del papa. Però, in un secondo tempo, in aperta violazione di queste solenni e ripetute dichiarazioni, il riformatore fu arrestato per ordine del papa e dei cardinali e gettato in una fetida prigione. In seguito, fu trasferito in una fortezza sul Reno e tenuto prigioniero. Il papa, però, non poté godere a lungo della propria perfidia perché finì egli stesso nel medesimo carcere. Giudicato dal concilio, Giovanni XXIII fu dichiarato colpevole dei crimini più abbietti quali: omicidio, simonia, adulterio e “peccati innominabili”.
Infine fu privato della tiara e imprigionato. Deposti anche gli antipapi, fu eletto un nuovo pontefice.
Sebbene lo stesso papa si fosse macchiato di crimini maggiori di quelli che Hus aveva rinfacciato ai sacerdoti e che lo avevano indotto a chiedere una riforma, il concilio che destituì il pontefice infierì contro il riformatore.
La carcerazione di Hus suscitò viva indignazione in tutta la Boemia e nobili potenti rivolsero al concilio una vibrata protesta contro un simile oltraggio.
L’imperatore non desiderava violare un salvacondotto e cercò di impedire che si procedesse contro il riformatore, ma i nemici di Hus erano influenti e decisi. Essi fecero appello ai pregiudizi dell’imperatore, ai suoi timori e al suo zelo per la chiesa. Ricorsero, inoltre, a elaborate argomentazioni per dimostrare che “non si è tenuti a mantenere le promesse fatte agli eretici o a persone sospette di eresia, anche se munite di salvacondotto dell’imperatore e dei re”. In tal modo essi raggiunsero il loro intento.
Indebolito dalla malattia e dal carcere — l’umidità della cella e l’aria malsana gli provocarono una febbre che per poco non lo condusse alla morte — Hus venne finalmente condotto al concilio. Incatenato, si trovò di fronte all’imperatore che, sul suo onore e in tutta sincerità, aveva preso l’impegno di proteggerlo. Durante il lungo processo, Hus difese la verità con fermezza e, davanti ai dignitari della chiesa e dello stato, pronunciò una solenne e vibrata protesta contro la corruzione della curia romana. Invitato a scegliere fra l’abiura e la morte non esitò a dichiararsi pronto per il martirio.
La grazia di Dio lo sostenne e durante le lunghe settimane che trascorsero prima del verdetto finale la pace divina inondò la sua anima. “Scrivo questa lettera” diceva a un amico “nel mio carcere, con le mani serrate nei ceppi, in attesa della sentenza di morte che sarà pronunciata domani…
Quando, con l’aiuto di Gesù Cristo, ci incontreremo di nuovo nella pace beata della vita futura, saprai quanta misericordia Dio ha avuto per me e quanto egli mi abbia efficacemente aiutato e sostenuto fra prove e tentazioni”. Nell’oscurità del suo carcere, egli intravide il trionfo della vera fede.
In sogno gli apparve la cappella di Praga, dove aveva predicato il Vangelo e vide il papa e i vescovi cancellare le immagini di Gesù dipinte sulle pareti.
“Questa visione lo turbò. L’indomani vide, sempre in sogno, dei pittori restaurare quelle immagini e farne altre e rivolti alla folla che li circondava, esclamavano: “Ora i papi e i vescovi vengano pure: essi non riusciranno più a cancellare queste immagini”. Nel raccontare il sogno, il riformatore disse: “Sono certo che l’immagine del Messia non sarà mai cancellata. Essi volevano distruggerla, ma grazie all’opera di predicatori migliori di me, essa sarà nuovamente riprodotta nei cuori”. Per l’ultima volta Hus fu condotto davanti al concilio. Era un’assemblea numerosa e brillante: l’imperatore, i prìncipi dell’impero, i deputati reali, i cardinali, i vescovi, i sacerdoti e una immensa folla che si era radunata per essere spettatrice degli eventi di quel giorno. Da ogni parte del mondo cristiano erano convenuti i testimoni di questo primo grande sacrificio della lunga lotta, mediante la quale sarebbe stata assicurata la libertà di coscienza.
Invitato a comunicare la sua decisione finale, Hus dichiarò il suo rifiuto ad abiurare. Quindi, fissando il suo sguardo penetrante sul sovrano, infedele alla sua parola d’onore, disse: “Ho deciso di mia spontanea volontà di presentarmi davanti a questo concilio sotto la pubblica protezione e sulla parola dell’imperatore qui presente”. Un vivo rossore si diffuse sul volto di Sigismondo, mentre gli sguardi di tutti si posavano su di lui.
Pronunciata la sentenza, iniziò la cerimonia della destituzione. I vescovi fecero indossare al prigioniero gli abiti sacerdotali. Egli, nel toccarli, disse: “Nostro Signore Gesù Cristo fu coperto di una veste bianca in segno di scherno, quando Erode lo fece condurre davanti a Pilato”. Esortato ancora una volta a ritrattare, egli si rivolse al popolo e dichiarò: “Come potrei alzare il capo verso il cielo? Come potrei guardare questa folla di persone alle quali ho predicato il puro Vangelo? No. Io considero la loro salvezza più importante di questo misero corpo condannato a morte”. I paramenti furono tolti uno dopo l’altro e ogni vescovo, nel compiere la propria parte del rito pronunciava una maledizione. Alla fine “gli posero in testa una specie di mitra di carta a forma di piramide, sulla quale erano dipinte orribili figure di demoni”.
Sulla parte anteriore di essa si leggeva: “Eresiarca”. Hus disse: “Con gioia porterò questa corona infamante per amor tuo, Gesù, che cingesti per me una corona di spine”. Dopo che Hus venne così rivestito, “i prelati dissero: “Ora noi consegniamo la tua anima al diavolo”. Jan Hus alzando gli occhi al cielo, replicò: “E io rimetto il mio spirito nelle tue mani, Signor Gesù, perché tu mi hai redento”. Consegnato alle autorità secolari, venne condotto sul luogo del supplizio.
Un’immensa processione lo seguiva: centinaia di uomini armati, sacerdoti, vescovi in ricche vesti e gli abitanti di Costanza. Dopo essere stato legato al palo e quando tutto fu pronto per l’accensione del rogo, il martire fu invitato ancora una volta a salvarsi, rinunciando ai propri errori. “Quali errori dovrei abbandonare? Io non mi riconosco colpevole. Chiamo Dio a testimone che tutto quello che ho scritto e predicato è stato fatto per strappare gli uomini al peccato e alla perdizione. Perciò con gioia confermerò con il mio sangue la verità che ho scritta e predicata”17. Quando le fiamme sprizzarono crepitando intorno a lui egli cominciò a cantare: “Gesù, figliuol di Davide, abbi pietà di me!” e continuò il suo canto fino a quando la sua voce non fu soffocata per sempre.