Pasqua, un nuovo inizio

La fede nella risurrezione nasce, come per i due discepoli sulla via di Emmaus, dal metterci sulle tracce del Risorto, incontrarlo e correre ad annunciare che la morte è stata sconfitta.

Michele Abiusi – Lo hanno crocifisso. È calato il buio e l’unica cosa da fare è scappare via. Via da quel luogo maledetto, via dal fracasso, via dalla propria speranza, via dalle avventure con lui, dalle sue parole, dalle sue azioni, dai suoi occhi, dalle sue mani… via da se stessi.
Tornano a casa, alla vecchia vita che avevano abbandonato per seguire lui. Si erano ripromessi di cominciare una nuova esistenza, doveva essere un nuovo inizio. Invece…

Non esiste sconfitta maggiore del dover tornare indietro. La spedizione è fallita, il traguardo non è stato raggiunto, la promessa non è stata mantenuta, la fede non ha retto. L’unica cosa che rimane da fare è tornare a casa, rintanarsi, rinchiudersi, nascondersi. E la cosa peggiore è sentirsi disillusi, sentire che la speranza è morta.
Vanno a casa con le mani vuote, gli sguardi vuoti, il cuore vuoto. Eppure, dopo un’esperienza, non si ritorna gli stessi di prima, perché tutto è cambiato, ogni azione è valutata diversamente. Quindi, mai più fidarsi di qualcuno! Mai più illudersi su qualcosa!

Per strada qualcuno si aggiunge a loro. Mentre i due discepoli discutevano sull’insensatezza della vita, li raggiunge una terza persona che passa quasi inosservata. Nulla cambia, né il loro umore né la direzione. Lo sconosciuto è semplicemente lì, cammina con loro, si interessa a loro. “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose” (Luca 24:21). L’unica cosa che ricordano è che il Maestro aveva detto qualcosa riguardo al terzo giorno, ma anche quello era ormai trascorso. Raccontano allo “sconosciuto” i fatti come si sono svolti, senza giocare a fare gli eroi o a divagare e mascherare la loro delusione.

Poi, il nuovo arrivato interviene nel discorso. Parla di Dio e del suo meraviglioso piano, di cose in cui essi non potevano e non volevano più credere, dell’amore del Signore e della sua fedeltà alle promesse già predette da tempo dai profeti, e che si avvereranno. Ancora non lo riconoscono. Tuttavia, nei loro cuori incomincia a bruciare qualcosa, come racconteranno più tardi.  Le parole di Gesù, il Risuscitato, toccano una corda, fanno risuonare qualcosa della speranza del futuro, di Dio.
In ognuno di noi c’è un lumino del genere. Anche quando ci siamo lasciati dietro una delusione d’amore, il bisogno d’amore rimane.

Il percorso è terminato. Si trovano davanti alla porta di casa. Tutto dovrebbe essere già programmato. I due adesso dovrebbero ringraziare lo sconosciuto per le parole gentili e per averli consolati, così come fanno, in tutti i funerali, coloro che hanno subito il lutto. Un grazie a tutti, chiudere la porta e rimanere soli con se stessi. Ma quel piccolo fuoco acceso nei loro cuori li spinge a invitare l’uomo nella loro casa.
Quando sono a tavola, lo sconosciuto prende il pane, prega per la benedizione, lo spezza e lo dà agli altri. Ora lo riconoscono. È il Signore! Il piccolo fuoco diventa un’enorme fiamma, il buio si trasforma in luce, il sogno in realtà.

A Emmaus, i due discepoli si ricordano che in passato è stato sempre così. Ogni volta, Gesù dava e loro ricevevano. E anche ora che non sono più in grado di dare qualcosa, ricevono. Il pasto è breve. Non hanno tempo.  La stanchezza è passata. Con le ali ai piedi ripercorrono l’intera strada: corrono, volano.
Da dove prendono tutta questa forza? Intorno hanno il buio, ma nel loro cuore vi è la luce, un fuoco che brucia più di prima. È la luce dell’esperienza. La gente può dire ciò che vuole: gli apostoli hanno rubato la salma di Gesù, la risurrezione è un’astuta bugia. Sciocchezze! Loro lo hanno visto, gli hanno parlato, hanno vissuto. Questa è la realtà. Una realtà che mette in secondo piano tutto il resto. Ciò in cui prima hanno sperato e creduto, ora si è avverato.

Appena giungono a Gerusalemme, incontrano gli altri che si sono chiusi in una casa, in una camera alta, una soffitta, perché sono sconcertati e sconsolati, e non sanno più cosa ne sarà di loro. I due gridano: “Abbiamo visto il Signore”. E incominciano a raccontare. Nessuno li può fermare…
Questo è il concetto chiave: lo hanno visto con nuovi occhi. Non più come il figlio di Giuseppe, ma come il figlio di Davide. Non più come colui che è morto miseramente sulla croce, ma come colui che nessuna tomba può fermare. Non più come una pecora condotta allo scannatoio, bensì come l’essere a cui è stato dato il potere sul cielo e sulla terra. Non più come lo sconosciuto che li ha accompagnati nella loro via di ritorno, bensì come colui che ci accompagnerà tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

Avevano pensato di essere vicini alla fine, invece hanno potuto vivere un nuovo inizio, non per merito loro, certo, e senza far violenza su se stessi. Hanno visto il Signore.
È l’inizio di una nuova vita, anche se non sarà semplice e non filerà tutto liscio. Adesso, il vecchio odio contro Gesù colpisce loro che vengono minacciati, emarginati, perseguitati. Ma c’è sempre la forza e il coraggio di voler vivere con Gesù. Parlano della loro speranza, della loro fede, del nuovo inizio. Alcuni tra coloro che ascoltano iniziano a vedere le cose sotto una nuova ottica. Quando alziamo lo sguardo verso di lui, Gesù crea un inizio là dove c’è la nostra fine.

La Pasqua di Gesù è la festa che spalanca gli orizzonti dell’impossibile. Credere nella sua risurrezione significa rifiutare la realtà così com’è; vuol dire non accettare che il mondo vada avanti sempre allo stesso modo, smetterla di vivere una vita di apparenze. Per questo a Pasqua, più che mai, è bello lasciarsi prendere dalla nostalgia di un futuro diverso, impossibile e perciò urgente.

La fede nella risurrezione nasce, come per i due discepoli sulla via di Emmaus, dal metterci sulle tracce del Risorto, lasciarci incontrare da lui, riconoscerlo, correre ad annunciare che la morte è stata sommersa nella vittoria. È finita la notte, è nato un nuovo mondo. Cristo ci chiama a sgomberare un mondo malato per introdurci come cooperatori di un nuovo cielo e una nuova terra. Bisogna tagliare i ponti con il vecchio: l’odio, le divisioni, le guerre. E abituarci alla luce dell’amore, della libertà, della pace.

È primavera, tutto incomincia da capo. Pasqua è un nuovo inizio!

[Immagini: pixabay]

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