Perdere il treno

Oltre i metodi e i progetti.

Chantal J. e Gerald A. Klingbeil – Ieri è successo di nuovo a me (Chantal). Quando vivevamo negli Stati Uniti, viaggiavamo soprattutto in automobile. Qui, in Germania, usiamo di solito il treno. Abitiamo nei pressi del capolinea della metropolitana che ci porta nel cuore di Amburgo. Alla stazione centrale possiamo facilmente prendere i treni regionali per spostarci in tutto il Paese o anche a livello internazionale.

Dopo essere tornata da un lungo viaggio, sono scesa rapidamente dal mio treno regionale e ho attraversato varie banchine per arrivare a prendere la coincidenza della metropolitana. Ogni minuto era prezioso. Purtroppo, la scala mobile non funzionava e sono scesa a fatica per le scale con il mio pesante bagaglio a mano. Vedevo già il mio treno, era sul binario, e mi sono lanciata in una corsa disperata. Ma le porte si sono chiuse prima che potessi raggiungerle. Guardavo il treno partire senza di me e mi sentivo frustrata. Non c’è niente come un’occasione persa, così vicina eppure così lontana.

Questa esperienza ci ha portato a riflettere sulle opportunità perdute. Ovunque andiamo e dialoghiamo con le nostre numerose chiese, c’è sempre questa trepidante attesa, questo disperato desiderio di crescita. Si discutono le possibilità di evangelizzazione già sperimentate e collaudate, o nuovi modi creativi di testimoniare agli altri e, sebbene ci siano alcune storie di successo, spesso sembra esserci un senso di frustrazione per il fatto che i nostri metodi non funzionano come vorremmo: le porte che sbattono e la sensazione di aver perso un treno.

A volte concentriamo tutte le nostre energie sul grande mondo dell’evangelizzazione, per portare persone nuove in chiesa, e potremmo trascurare coloro che sono già nelle nostre comunità ecclesiali o nella nostra sfera d’influenza: la madre single che lotta con i figli piccoli durante il culto del sabato mattina; la persona anziana che non riesce a sentire bene quello che succede e si sente esclusa; il visitatore malvestito che si è intrufolato in fondo e con il quale non ci preoccupiamo di stabilire un contatto; i bambini che a volte sono visti più come un disturbo che come il cuore pulsante della chiesa. Forse ci sono opportunità intorno a noi che non vediamo, perché siamo completamente concentrati sulle cose che pensiamo siano il nostro lavoro e la nostra missione.

Cosa accadrebbe se chiedessimo a Dio di aprirci gli occhi per vedere dove il Signore è già all’opera nelle nostre chiese e nelle nostre comunità? E se non fossimo intenti a convincere le persone alle nostre condizioni e con le nostre strategie, ma fossimo pronti a connetterci con ciò che Dio opera già? E se ci concentrassimo sulla creazione di comunità vibranti, non dominate dal bisogno di avere ragione, luoghi in cui possiamo permetterci di essere autentici e sapere di essere comunque accettati e amati? E se le nostre chiese fossero comunità in cui i giovani e i bambini potessero provare un senso di appartenenza e non fossero costretti a rimanere ai margini?

Questo tipo di comunità può essere una calamita aperta, che attira gli altri alla comunione con noi e con il nostro Dio. Quando vediamo le opportunità offerte da Dio intorno a noi, smettiamo di pensare alle persone come a progetti o a obiettivi battesimali, ma come a membri della famiglia perduti da tempo. Questo è un treno che non vogliamo assolutamente perdere!

(I coniugi Chantal J. e Gerald A. Klingbeil hanno servito la Chiesa avventista per quasi tre decenni a livello internazionale come professori, conduttori televisivi, editori e direttori associati. Ora vivono nei pressi di Amburgo, in Germania, e svolgono il loro servizio nella Federazione avventista anseatica)

[Fonte: Adventist Review. Traduzione: L. Ferrara]
[Immagine: pixabay.com] 

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