Riflessioni sul creazionismo

Quando la fede incontra la scienza. Scegliere di riconoscere Cristo come Creatore del mondo.

Ronny Nalin – Cosa significa essere creazionisti? Vorrei davvero essere associato a qualcosa che, in ambito accademico, è letta spesso con una connotazione negativa? Una ricerca su Google fornisce questa definizione di creazionista: “una persona che crede che l’universo e gli organismi viventi abbiano origine da atti specifici di creazione divina, come nel racconto biblico”.[1]

Mi piace questa spiegazione. È descrittiva e neutra, evita caratterizzazioni negative e riflette accuratamente ciò che, a mio avviso, rappresenta l’essenza dell’essere creazionisti. Sarei felice di definirmi tale in base a questa descrizione. Sarebbe opportuno, però, approfondire una semplice ricerca su Google e considerare alcune delle critiche più rilevanti rivolte al paradigma creazionista.

Il creazionismo non è scienza?
La critica principale al creazionismo si riassume nell’affermazione: “Il creazionismo non è scienza”. Ad esempio, la Geological Society of America (GSA), di cui sono membro, in una dichiarazione ufficiale spiega: “Il creazionismo, la ‘scienza’ della creazione, e il disegno intelligente derivano dal pensiero religioso e, poiché richiamano dei fenomeni soprannaturali, non possono formulare ipotesi verificabili. Pertanto, tutte le forme di creazionismo non sono scienza”.[2]

Non è di per sé negativo il fatto che alcuni aspetti del creazionismo non siano verificabili empiricamente, e non dovrebbero quindi essere considerati scientifici. Per dirla con le parole del premio Nobel Richard Feynman, “se una cosa non è scienza, non è necessariamente da ritenersi sfavorevole. Per esempio, l’amore non è una scienza. Quindi, se si dice che una cosa non è scientifica, non significa che ci sia qualcosa di sbagliato in essa; vuol dire solo che non è scienza”.[3]

Allo stesso tempo, è importante riconoscere che il creazionismo biblico può effettivamente generare domande e ipotesi che possono essere esplorate empiricamente. Inoltre, lo stesso argomento di demarcazione usato contro il creazionismo (cioè che non è scienza) può essere applicato al naturalismo se afferma ontologicamente l’inesistenza di Dio o la sua mancanza di interazione con il mondo. Lo afferma implicitamente la stessa dichiarazione della GSA: “Gli scienziati non sostengono né possono affermare di provare o confutare l’esistenza di Dio o altri principi fondamentali delle tradizioni religiose”.[4]

Nella pratica, molti scienziati, cristiani o meno, adottano un atteggiamento più agnostico, quello proprio del naturalismo metodologico. Questo approccio esclude la causalità divina (o soprannaturale) nell’osservazione, ricostruzione e previsione dei fenomeni naturali, ma lo fa non implicando che le realtà metafisiche non esistano. Apprezzo la coerenza del naturalismo metodologico, in particolare con il principio della uniformità delle leggi, e la sua efficacia nello studio dei fenomeni fisici. Confesso, tuttavia, una certa apprensione: che questa ripartizione pragmatica possa condurre a una visione mentale della realtà come sistema chiuso, in contrasto con il ritratto biblico di un Dio personale e relazionale, centrale in ogni aspetto della nostra vita. Se potessi usare un’illustrazione imperfetta, temerei che il naturalismo metodologico sia come dire a un bambino orfano: “Tuo padre potrebbe essere vivo, ma per tutte le questioni pratiche, vivi come se non lo fosse, come se non fosse mai stato né mai sarà parte della tua vita”. E se invece fosse parte della mia vita? O se cercasse di contattarmi?

Se essere creazionista significa confrontarsi con domande esistenziali e giungere a riconoscere apertamente un Dio potente e pienamente coinvolto nella sua creazione, allora voglio essere un creazionista.

Il creazionismo conduce all’indolenza o alla superficialità?
Una seconda critica comune al creazionismo è collegata alla prima, considerando il concetto di intervento divino. Se l’azione divina è accettata come possibilità, potrebbe essere invocata convenientemente ogni volta che non comprendiamo in modo pieno una caratteristica o un fenomeno naturale. Questa tendenza, nota come approccio del “Dio dei vuoti”, può a volte mascherare una mancanza di competenza o impegno, dove spiegazioni semplicistiche sostituiscono una ricerca accurata. Qui il pensiero del geologo scozzese Charles Lyell: “Mai vi fu dogma più adatto a incoraggiare l’indolenza e a smussare il filo acuto della curiosità quanto l’assunto della discordanza tra le cause antiche ed esistenti del cambiamento”.[5]

Per rispondere a questa accusa, bisogna innanzitutto chiarire che essere creazionisti non significa rigettare l’idea di leggi e regolarità naturali. Teologicamente comprendiamo che “Dio non annulla le sue leggi né agisce in disaccordo con esse, ma se ne serve continuamente, usandole come semplici strumenti”.[6]

Infatti, le regolarità del mondo trovano maggiore significato (il perché delle leggi) nell’accettazione della realtà di un Legislatore e Sostenitore. E per quanto riguarda la comprensione del passato, è possibile che i “vuoti” derivino dalla nostra limitata comprensione delle sue leggi, non da anomalie o sospensioni nel loro funzionamento. Posizioniamo queste regolarità in un contesto in cui esiste Qualcuno che non solo ha il potere di operare attraverso di esse, ma che è anche superiore a esse e le ha stabilite.

Quanto alla preoccupazione che la fede nell’intervento divino porti al compiacimento intellettuale, prendo un episodio biblico come guida per definire l’atteggiamento verso l’azione di Dio in natura. Si tratta della reazione di Simone al comando di Gesù di pescare in pieno giorno: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti” (Luca 5:5).

Come la reazione di Simone, l’approccio creazionista non si fonda su un impegno cieco o disinformato. Non rinuncia allo studio e al duro lavoro, ma rimane aperto all’ascolto e all’agire secondo la Parola di Dio, riconoscendo che la potenza divina trascende i nostri sforzi. Quindi, se essere creazionista vuol dire rispettare il processo di osservazione rigorosa, lo sviluppo e la verifica delle ipotesi, in un contesto che va oltre il semplice naturalismo, allora non ci si dovrebbe imbarazzare per essere creazionisti.

Il creazionismo è strano?
Il fatto che questo approccio sia descritto come non scientifico e intellettualmente debole può ostacolare le interazioni fruttuose e l’integrazione attiva di un creazionista nella comunità scientifica? La domanda riguarda le dinamiche sociologiche, perché essere scienziati significa anche far parte di una comunità.

Ogni dinamica tra “dentro” e “fuori” può essere fonte di tensione e isolamento, ma esiste anche un altro lato della medaglia. Al suo meglio, la comunità scientifica è inclusiva. Si consideri, ad esempio, questo estratto dalla dichiarazione della GSA sulla diversità: “La Geological Society of America è impegnata a costruire un ambiente in cui tutti possano prosperare, creando una comunità professionale inclusiva, equa e accessibile che coinvolga studenti, professionisti e accademici delle geoscienze e delle comunità che essi servono”.[7]

La fiducia reciproca si coltiva attraverso il riconoscimento rispettoso delle differenze e delle somiglianze, esercitato con tatto e discernimento. Nella comunità scientifica incontriamo interessi affini, ma anche visioni del mondo distinte. Da un punto di vista professionale e relazionale, questo può rappresentare un terreno per la crescita e le opportunità. Quindi, se essere creazionista significa avere una prospettiva peculiare all’interno di una comunità che condivide la passione per lo studio del mondo naturale, allora apprezzo il fatto di essere un creazionista.

Il creazionismo è carente di risposte solide?
La scienza è così attraente perché è essenzialmente positivista. Promette un progresso nell’intuizione e un potere esplicativo ultimo per comprendere tutta la realtà. Provo entusiasmo quando le evidenze che studio “combaciano” con la mia cognizione della storia della terra, ma sono anche consapevole delle grandi sfide ancora irrisolte che il paradigma creazionista affronta. Come molti filosofi della scienza e scienziati stessi intendono, la scienza nel suo insieme ha dei limiti, e anche il naturalismo affronta questioni fondamentali senza risposta. Ma cosa dovrei pensare quando non ho grandi alternative per spiegare ciò che altri considerano assodato, ma che per me resta problematico?

La mia prima risposta è sentire un senso di finitudine. Mi piace come lo esprime Salomone: “Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità, sebbene l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatta” (Ecclesiaste 3:11).

Non leggo questo passo come un invito ad abbandonare la ricerca e lo studio, una resa all’ignoranza. Al contrario, riconoscendo le aree in cui non ho comprensione, acquisisco l’atteggiamento giusto per un cammino di ricerca guidato da Dio.

Quando ho solo delle risposte parziali o insoddisfacenti, potrei essere tentato di ritirarmi dallo studio del mondo naturale, cosa opposta al piano originario di Dio per l’umanità. Fu un nemico a insinuare per primo che Dio volesse limitare l’accesso ai frutti della sua creazione. Ma c’è anche un’altra menzogna sotto l’albero della conoscenza del bene e del male: “Sarete come Dio”. Una scienza senza Dio, in cui pretendiamo di sapere tutto, mi ricorda questo inganno. Come sovrani di un universo chiuso, cerchiamo di avvicinarci all’immortalità e alla divinità dominando la conoscenza del bene e del male. Per alcuni, questo frutto è attraente e desiderabile. Ma alla fine conduce a luoghi molto oscuri.

Quindi, se essere creazionista si traduce con l’essere onesti riguardo a ciò che non comprendo, senza rinunciare alla ricerca della verità pur riconoscendo che non sono Dio, allora mi sento a mio agio accogliendo questo approccio.

Un invito
In definitiva, da una prospettiva cristiana, essere creazionisti significa scegliere di riconoscere Gesù Cristo come Creatore del mondo. Sviluppare questa convinzione è un’esperienza profondissima. Come Pietro, in piedi sul bordo della barca mentre vedeva Gesù camminare sull’acqua, si può sentire l’impulso di dire: “Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull’acqua” (Matteo 14:28). A chi è pronto per questa avventura, Cristo darà una risposta semplice: “Vieni!” (v. 29).

Note 
[1] Parole inserite nella barra di ricerca di Google Chrome: “definizione + creazionista”, consultato il 5 febbraio 2025. Fonte citata nella casella del dizionario di Google: Oxford Languages.
[2] Dichiarazione di posizione della GSA, Teaching Evolution, p. 2, https://rock.geosociety.org/net/documents/Gsa/positions/pos1_TeachingEvolution.pdf, consultato il 5 febbraio 2025.
[3] R. P. Feynman, Six Easy Pieces, Basic Books, New York, 2011, p. 47.
[4] Ivi, p. 3.
[5] C. Lyell, Principles of Geology, 1ª ed. (1833), vol. 3, pp. 2, 3.
[6] E. G. White, Patriarchi e profeti, Edizioni ADV, Firenze, p. 114.
[7] Dichiarazione di posizione della GSA, Diversity in the Geosciences, p. 1, https://rock.geosociety.org/net/documents/Gsa/positions/pos15_Diversity.pdf, consultato il 6 febbraio 2025.

(Ronny Nalin è direttore del Geoscience Research Institute, organismo della Chiesa avventista mondiale. È figlio di Donatella e Giuseppe Nalin, membri della chiesa avventista di Padova. Per saperne di più, leggi Parla italiano il nuovo vertice del Gri).

[Fonte: adventistreview.org / Tradotto da Veronica Addazio]
[Immagini di Afleur, WikiImages e Myriams-Fotos su Pixabay.com] 

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