Schiavitù desiderabile? Un’escatologia inimmaginata

La libertà è ancora apprezzata oggi? Oppure siamo troppo distratti? 

Víctor Armenteros – Una schiavitù desiderabile? Un’escatologia che non avevamo immaginato.
Gli scrittori Aldous Huxley e Ray Bradbury hanno rappresentato un futuro che oggi sembra stranamente reale. Nel suo libro Il mondo nuovo (1932), Huxley descriveva una società dedita al piacere, che condizionava fin dall’infanzia, incapace di desiderare altro che il benessere. In Fahrenheit 451 (1953) (in italiano intitolato anche Gli anni della fenice, ndt), Bradbury denunciava un mondo in cui i libri erano pericolosi perché stimolavano il pensiero e in cui gli schermi offrivano una realtà anestetizzata.

Nel suo saggio Divertirsi da morire (1985), il sociologo Neil Postman ha messo a confronto queste due visioni e ha concluso che, mentre Orwell temeva uno Stato oppressivo in stile 1984, Huxley ha colto nel segno: non abbiamo bisogno di repressione se siamo distratti a sufficienza. Non sono le fruste e gli stivali a tiranneggiare; sono i piaceri, gli schermi, i meme, le notifiche. La distopia che ci travolge non ha la forma di un tiranno, ma di una piattaforma di streaming.
In questo scenario, Il mondo nuovo e Fahrenheit 451 non sono solo letteratura, sono specchi. E se lo specchio è fedele, allora il volto che ci restituisce della nostra società è più vicino alla bestia che all’Agnello (di Apocalisse, ndt).

Il miraggio della libertà
Huxley ha immaginato una società in cui non è necessario vietare i libri, perché nessuno vuole leggerli. Bradbury ne ha immaginata un’altra in cui i libri vengono bruciati perché disturbano, ostacolano, scuotono. Entrambi concordano su un punto fondamentale: il popolo collabora alla propria perdita di libertà. Il problema non è il dittatore, ma la cultura che lo genera. Non è che qualcuno rubi la libertà, è che non viene più apprezzata.

Nella logica di Postman, la nostra società ha già fatto la sua scelta, preferiamo l’intrattenimento alla verità, la distrazione alla riflessione, il consumo all’impegno. La censura non è scomparsa, ha solo cambiato forma: non impone più il silenzio, ma ci dà il rumore. E qui risuona forte l’avvertimento dell’Apocalisse.

Per il pensiero escatologico avventista, il libro dell’Apocalisse non è un catalogo di simboli criptici o un oracolo di catastrofi inevitabili. È una chiamata al discernimento e alla certezza della realtà. “Qui è la costanza dei santi” dice il testo “che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù” (Apocalisse 14:12). Non sono coloro che sopravvivono alla fine del mondo, ma coloro che la comprendono. Quelli che non si lasciano segnare, né sulla fronte né sulla mano, dai valori del sistema.

Cos’è dunque oggi che ci porta al marchio della bestia? Un chip? Un decreto sulla domenica? O una logica culturale che ci insegna a non pensare, a non aspettare, a non fidarci di nulla al di là dell’istante? L’Apocalisse, in una lettura avventista, non annuncia semplicemente un calendario di crisi, ma una pedagogia della fedeltà. E questa fedeltà non si manifesta nella paranoia profetica, ma in uno stile di vita contro-culturale, riflessivo, comunitario e pieno di speranza.

Schermi come moderni sacramenti
Neil Postman lamenta una cultura in cui la televisione, e oggi potremmo dire gli algoritmi, sostituiscono l’argomentazione con l’immagine, la profondità con la velocità, il contenuto con l’apparenza. In un ambiente del genere, non c’è bisogno di dittatori. Basta che la popolazione sia sufficientemente intrattenuta.
Huxley lo aveva “profetizzato” con la droga Soma e gli spettacoli continui. Bradbury, con gli schermi avvolgenti e gli auricolari nelle orecchie. Oggi viviamo tutto questo ma ingrandito: serie, reel, giochi, realtà aumentata, influencer, intelligenza artificiale.

L’intrattenimento è diventato il nuovo sacramento della società. Una forma di culto secolare. Basta riflettere sui grandi eventi di massa: stadi pieni di accoliti dello sport, della musica e degli spettacoli festivi. E in questo contesto, la lettura critica, il silenzio, la contemplazione e la preghiera sono sovversive.

La grande prova: discernere
Quando l’Apocalisse parla di un popolo fedele che non si è contaminato con la bestia e non si è prostrato davanti alla sua immagine (Apocalisse 14:9-11), non descrive solo una resistenza visibile, ma anche un atteggiamento interiore. In tempi di iper-connessione e rumore, la vera sfida è nell’attenzione: cosa guardiamo, chi ascoltiamo, quale memoria abitiamo.
L’atto di discernere tra il bene e il male rivela la maturità della vita spirituale di un cristiano. Come dice il testo biblico di Ebrei: “… ma il cibo solido è per gli adulti; per quelli, cioè, che per via dell’uso hanno le facoltà esercitate a discernere il bene e il male” (Eb 5:14). Postman e i profeti si incontrano proprio qui, perché entrambi denunciano un mondo che ha sostituito la verità con la verosimiglianza, con la finzione. Huxley, Bradbury e Giovanni di Patmos si schierano come sentinelle: uno a partire dalla filosofia, l’altro dalla letteratura, il terzo dalla rivelazione.
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La chiesa, comunità di resilienza e speranza
Di fronte alla crisi globale, la chiesa è chiamata a essere molto più di uno spazio per attività, autoconsumo o intrattenimento. Deve essere un laboratorio di riflessione escatologica. Un luogo in cui ricordare il passato redentivo, riflettere sul presente culturale e guardare attivamente al futuro glorioso che ci è stato promesso (cfr. Apocalisse 21:1-5). In questo senso, l’escatologia avventista non è né un rifugio apocalittico né uno scenario di paura, ma un esercizio di resilienza e libertà.
Non c’è dubbio che un giorno non saremo giudicati per quanto sappiamo della fine del mondo, ma per come viviamo in questo mondo (Matteo 25:31-46).

È possibile che il vero marchio della bestia inizi con l’incapacità di spegnere il telefono, o con l’incapacità di pregare senza controllare le notifiche? Forse l’escatologia più urgente non è quella che decifra i codici, ma quella che ci aiuta a ricordare chi siamo, chi adoriamo e quale storia raccontiamo con la nostra vita. E in questo ricordare, resistere e aspettare risiede la vera libertà.

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(Víctor Armenteros è decano della Facoltà avventista di teologìa in Spagna)

[Immagini: Eli Francis e Firmbee su Pixabay.com. Traduzione e adattamento: L. Ferrara]

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